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di Nicola Arpaia Si faceva chiamare Mario dai passanti. Tutti lo salutavano, tutti gli volevano bene tutti. “Un sorriso incoraggiante, una presenza costante, familiare, con la capacità di arrivare al cuore”: così lo descrivono le persone e i pendolari che negli anni hanno imparato a conoscerlo.

Durante le sue chiacchierate con le persone, raccontava di quanto fosse stato complicato e difficile lasciare il suo Paese, la Liberia.

“Scappare dalla Liberia non è stato facile. Lasciare la famiglia fa soffrire. Non sentire più il profumo di mare e di campagne è una mancanza di ossigeno”, diceva.

Perché si parte? Perché si affronta il mare in condizioni disumane rischiando una morte atroce? Cosa si lascia alle spalle, costretti a spendere quel poco che si ha per rifarsi una vita in Europa? A queste domande abbiamo tentato di dare una risposta attingendo alla viva voce di chi sceglie il mare come ultima speranza: “Meglio morire in mare che stare in Liberia. In mare si muore una volta sola, se stai in Liberia è come se morissi tutti i giorni”: aveva spiegato lui stesso tante volte.

Mario viveva aiutato dalla gente come lui: non mendicava e non chiedeva soldi a nessuno. Viveva di giorno alla stazione di Napoli e la notte nel dormitorio. Alla stazione raccontano i passanti mancheranno le sue parole: “Figlio di principe, Ministro, Conte e tante altre parole che aveva imparato da quei passanti che lo hanno aiutato dal 2003, dal giorno in cui con quel barcone è arrivato in Italia, allo scorso sabato notte, quando è stato colto da un malore che ha stroncato la sua vita.

Di lui mancherà il sorriso, la verve, l’entusiasmo che riuscivano ad imporsi tra l’indifferenza dei passanti. Una certezza, incontrarlo ogni mattina in stazione, diretti al lavoro. Un’assenza che oggi è pesante.

Quella di Mario è la storia di tanti migranti, che riescono ad inserirsi nel tessuto collettivo, su cui troppo spesso la pubblica opinione e l’informazione è indifferente. Storie di un’umanità che sono state anche le nostre storie, durante i nostri flussi migratori alla ricerca di una vita migliore. A volte, presi dalla nostra iperconnessione virtuale, rischiamo di perdere il contatto con la realtà, a volte difficile e crudele. La storia di Mario, la sua lotta per la libertà, deve essere da stimolo a perseverare nella nostra battaglia per i diritti civili e umani, per l’accoglienza, contro ogni forma di barriera e pregiudizio morale e culturale. Recupero dell’umanità per tutti colori che, spesso, la nostra società lascia ai margini. Popoli che sfidano il mare, su un barcone, alla ricerca di un sogno e di una vita felice, libera spesso da dittature o condizioni economiche svantaggiate.

Napoli oggi perde un suo figlio e mi piacerebbe che alla mia voce si unissero tante altre voci.

Grazie Mario, per i sorrisi, le chiacchierate, il confronto e l’entusiasmo che mi hai regalato e ci hai regalato».

Redazione