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di Antonio Del Monaco* Aldo Moro fu ucciso dalle BR, il suo corpo ritrovato in un auto il 9 maggio di 44 anni fa.
Ucciso dalle BR…certo, se si vuole intendere chi ha premuto il grilletto, se facciamo riferimento all’atto pratico.
Ma Aldo Moro fu ucciso da chi non volle salvarlo, decretandone una fine certa: fu ucciso dal silenzio, dal complotto, dalla menzogna, dal depistaggio, dal potere. Quanto si sarebbe potuto fare? Tanto. E perché non si è fatto? Perché era un uomo scomodo…come molti di coloro che sono onesti e giusti.

Due figure si intrecciano al caso Moro: una volta rapito, Andreotti, allora Presidente del Consiglio, e Cossiga, quale Ministro degli Interni, istituirono un comitato di crisi per la gestione del caso. Chi ne fece parte? Uomini della P2 controllati da Lucio Gelli, ostili a Moro e al “compromesso storico”, che da subito ostacolarono le indagini, lasciando allo scuro di tutto la magistratura, impedendo loro ogni intervento di controllo o cattura.
Scelta oculata e ben ponderata da Cossiga e Andreotti.

Alla tragica morte di Aldo Moro vanno collegati altri due strani e oscuri episodi: la facile liberazione di Ciro Cirillo e la morte del Generale Dalla Chiesa.
Proprio a quest’ultimo era stato affidato il compito e il comando di un manipolo di uomini armati di liberare Moro, e tutto era pronto in via Montalcini per intervenire.
Ma il giorno prima, tramite il Generale Maletti, Cossiga e Andreotti ordinarono a Dalla Chiesa di non intervenire. Perché?

A seguito del rapimento di Moro, in molti presero le distanze, in molti “lo tradirono”, facendo orecchie da mercante. In molti preferirono tenersi stretta la poltrona anziché combattere per la verità e aiutare Moro a sfuggire da un triste e ingiusto destino. E lo stesso Moro ne ebbe chiara percezione, da quanto si evince leggendo le sue ultime lettere alla moglie e alla DC.

C’è una foto in bianco e nero, ormai famosa, che ferma il momento del ritrovamento del corpo di Moro, nel portabagagli aperto della Renault: tra la folla si nota un uomo con un bicchiere in mano. È Biagio Ciliberti, allora commissario di polizia. Lo ritroviamo alla liberazione dell’assessore Ciro Cirillo, a Napoli, anch’esso rapito dalle BR. Ciliberti impedì che Cirillo andasse in questura, intervenendo immediatamente per portarlo a casa, e giustificando la scelta con un parere medico: Cirillo era troppo provato per essere sottoposto a interrogatorio. Magistrati no, ma la visita a casa di Gava e di Flaminio Piccoli si!Fatto alquanto inusuale e ambiguo.
Ciliberti, giovanissimo, fu poi premiato ed elevato a grado di questore di Trieste.
Sono frammenti di storia legati tra loro.

Tornando a Dalla Chiesa, turbato da quell’ordine improvviso di non intervento, si parla spesso di una sua agenda, che aveva sempre con sé, con documenti e indagini che nel tempo egli fece.
Cossiga, diede a Dalla Chiesa e alla sua scorta un auto provvista di telefono, senza alcun documento, e con una serie di targhe, italiane e straniere, conservate nel portabagagli: targhe da sostituire all’occorrenza, e dunque un auto per proteggerlo?
Da un altro punto di vista verrebbe da dire, col senno di poi, che più che proteggerlo quell’auto lo avrebbe presto tradito decretando la sua morte.
Questa macchina, quasi un fantasma, non si sa che fine abbia fatto, tantomeno la preziosa agenda del Generale Dalla Chiesa. Tutto sparito nel nulla.

Il pentito Carmine Schiavone, da me più volte ascoltato, ha dichiarato con insistenza di aver sentito dire che Andreotti rivolgendosi a Cossiga esclamò una frase terribile: “A questo cretino mandiamolo a Palermo”. Il riferimento a Dalla Chiesa e alla fine che era destinato a fare è tristemente chiaro.

La verità tocca luoghi oscuri e bui, personaggi in apparenza saggi e coscienziosi
La verità ha nomi e cognomi, che da sempre grido, senza alcun timore, nelle dichiarazioni, nei miei libri, ovunque!
E continuerò a farlo per i posteri, nella speranza che giustizia venga fatta, un giorno.

Redazione