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I candidati dell’Alleanza Verdi/Sinistra, Fontanella e Rega, spiegano perché la caccia selettiva non è la soluzione al problema cinghiali, come fatto, invece, da altri partiti solo ed esclusivamente per accaparrarsi il voto dei cacciatori

Nell’anno 2004 il Parlamento Europeo già avvertiva la necessità di regolamentare (Reg. (CE) N. 853/2004) quanto i cacciatori producevano durante le attività di abbattimento di animali selvatici per garantire la sicurezza alimentare della selvaggina cacciata. In Italia, la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato che può derogare a tale principio nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge, rilasciando al cacciatore una concessione (la cosiddetta «licenza di caccia») al fine di abbattere esclusivamente le specie elencate nei periodi, negli orari e con i mezzi stabiliti dalla Legge 8 febbraio 1992, n. 157. Paradossalmente, la normativa a garanzia della sicurezza alimentare travisa questo concetto e indica che “Le persone che cacciano selvaggina selvatica al fine di commercializzarla per il consumo umano devono disporre di sufficienti nozioni in materia di patologie della selvaggina e di produzione e trattamento della selvaggina e delle carni di selvaggina dopo la caccia per poter eseguire un esame preliminare della selvaggina stessa sul posto”. Da qui nascono tutta una serie di furbi fraintendimenti e artate interpretazioni di competenze che evidenziano solo l’incapacità delle Istituzioni sanitarie alla gestione del territorio e della biodiversità. Non è accettabile che vengano derogate alcune specifiche competenze a soggetti che, provvisti di licenza di caccia, svolgono attività ludico-ricreative o motorie-sportive.

Nel caso del cinghiale, si arriva oggi a identificare tre aree di intervento: le aree vocate all’interno degli Ambiti Territoriali di Caccia o dei Comprensori Alpini; le Aree vocate all’interno delle Aree Protette; le Aree non vocate (urbanizzato e infrastrutture).

In tutti e tre gli ambienti si è assistito a un incremento numerico dei cinghiali.

Ma quanti cinghiali ci sono?

Nessuno lo sa, nessuno lo dice.

Con l’avvento della Peste Suina Africana, dal Ministero della Salute sono arrivati proclami come “Serve almeno una riduzione del 50% del numero su tutto il territorio nazionale, anche dove peste suina non c’è”.

Purtroppo, non conoscendo il numero di partenza, non se ne conosce il numero da ridurre.

L’Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale afferma che il prelievo, effettuato con i criteri della caccia di selezione sugli ungulati, non sembra in grado di determinare un impatto negativo sulle popolazioni, come dimostrato dall’incremento della loro consistenza negli ultimi anni.

La caccia selettiva, quindi, non è la soluzione al contenimento demografico dei cinghiali, ma forse la causa della loro proliferazione. La destrutturazione dei gruppi familiari, costituiti da tre o più femmine adulte di età diversa, comporta una precoce dispersione di animali giovani sul territorio, nell’ambito del quale potranno incontrare maschi solitari o giovani maschi in dispersione o, ancora, nella peggiore delle ipotesi anche maiali domestici.

I danni derivati da una sconsiderata caccia di selezione a carico delle dinamiche di popolazione si riflettono negativamente sulle attività agricole, su quelle antropiche in generale, sugli habitat e sulla biodiversità tutta.

A fronte delle osservazioni fatte, esistono proposte incruente e rispettose del benessere animale la cui sperimentazione è ostacolata a vari livelli: da quelli burocratici a quelli ideologici o lobbistici.

Sono, infatti, in corso:

  • un Progetto Europeo per l’Innovazione (PEI) in grado di applicare un “modello zootecnico” per il contenimento del cinghiale. Si prevede, infatti, l’attivazione di una filiera basata sulla modernizzazione dei processi, rispettosi sia della produttività sostenibile sia della biodiversità.
  • un progetto per la verifica della efficacia della immuno sterilizzazione del cinghiale.

Tali metodi alternativi, seppur complementari alla caccia, esistono! Tuttavia, non potranno mai funzionare in assenza di un adeguato investimento in capitale umano di eccellenza (personale specializzato) dedicato alla gestione della fauna e degli habitat sia nelle aree libere alla caccia, sia nelle aree protette, all’interno delle quali sarebbe auspicabile eliminare la caccia anche quando viene chiamata “selecontrollo”.

Redazione