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(di Vincenzo Lombardi) – Si riparte dai secondi interminabili della scena cult che chiuse la terza stagione di “Gomorra”. Genny e Ciro si guardano negli occhi tra lacrime e dolore prima dello sparo che fa sparire il corpo del boss di Secondigliano nelle acque di Napoli. Si riparte da quel momento impresso negli occhi di milioni di spettatori, ma “L’Immortale” non si presenta come un sequel né tantomeno come un prequel, nonostante il continuo mashup tra il passato e il presente del protagonista. Non è la versione cinematografica della serie italiana più famosa al Mondo, non è una copia e incolla di quanto già sappiamo e abbiamo conosciuto. L’esordio alla regia di Marco D’Amore (in oltre 400 sale dal 5 dicembre, Vision Distribution) è un crossover unico nel suo genere che potrebbe aver aperto una nuova via nell’intreccio tra serialità e cinema. Così come accadde nel 2014 quando il best seller di Roberto Saviano arrivò sul piccolo schermo, si tratta di una nuova scommessa sulla quale ha voluto puntare il re dei produttori italiani, Riccardo Tozzi della Cattleya (con Nicola Maccanico di TIM VISION).

Una storia che vuole uscire dal prodotto televisivo (ad iniziare dalla location, con una Lettonia divisa tra stenti e il lusso dei nuovi zar) ma che allo stesso tempo potrebbe fare da ponte con la prossima quinta stagione di Sky Atlantic. Il proiettile sparato da Genny Savastano, durante la maledetta serata in barca, si ferma ad un centimetro dal cuore, il corpo viene ritrovato e salvato miracolosamente, permettendo a Ciro Di Marzio di dare vita alla sua ennesima rinascita (“ho vissuto tutta la mia vita con la morte accanto”). “L’Immortale” sbarca a Riga nel centro della nuova economia criminale, tra nuovi imperi della droga e una paranza di napoletani assoldati dalla malavita locale che lo farà ricadere nei tormenti del passato che si addizionano alla solita vita senza affetti e calore. Il film si snoda tra i classici colpi di scena (in stile “Gomorra-La Serie”) e una poetica che inevitabilmente si sposa con la crudeltà dell’ambientazione ma, riesce a mostrare anche uno sguardo che va oltre il crimine.

Marco D’amore è uno e trino: il suo Ciro Di Marzio è il centro del progetto dove figura anche come regista, attore e sceneggiatore in uno stile narrativo che intreccia media e stili differenti. Una prova stupenda, un personaggio cucito sulla pelle che è diventato la sua anima oscura. C’è solo un pericolo, a questo punto, che Marco possa soffrire nel suo futuro professionale della figura troppo popolare ed ingombrante di Ciro. Una prova straordinaria ed intensa, quella dell’attore casertano, più lanciato che mai nel firmamento dei grandi. “L’Immortale” vive anche di tantissima coralità grazie alle belle prove di Giuseppe Aiello (Ciro da bambino), Salvatore D’Onofrio (Bruno), Martina Attanasio (Stella), Gennaro Di Colandrea (Virgilio) e Marianna Robustelli (Vera). Il finale, bello come un gol al novantesimo, ci fa capire che “Gomorra” avrà ancora lunga vita con buona pace dei benpensanti bigotti.

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Vincenzo Lombardi