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MONDRAGONE – In queste lunghe settimane nelle quali la pandemia ha dilagato, nel silenzio quasi assoluto, mentre tanti di noi si lamentavano per il “forzato domicilio” (per molti tutto sommato confortevole) e magari risultavano regolarmente in servizio grazie ad un improvvisato telelavoro, tantissimi  lavoratori nella nostra città hanno continuato senza sosta a lavorare come prima e più di prima per assicurarci servizi e viveri. Dai supermercati, alle campagne, dai servizi sanitari al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, quasi sempre sono stati i lavori più umili, quelli meno pagati e meno considerati, a garantirci una più che dignitosa sopravvivenza. Commessi, braccianti, panettieri, infermieri, netturbini, sono loro alcuni di quelli che hanno continuato a tenere in piedi la nostra città e l’intero Paese (per non parlare della manodopera immigrata, comunitaria e non, sfruttata ancor di più, oppure dei precari in tanti settori). E si tratta di lavori quasi sempre snobbati dai nostri giovani, non considerati dai loro genitori (né dal contesto sociale), malpagati e scarsamente tutelati, se non addirittura confinati nell’abusivismo e nel lavoro nero. Si fa fatica con la gravissima crisi economica in atto a pensare di festeggiare il 1° Maggio e a dare giusto valore alla tradizionale Festa del Lavoro. Tuttavia, questa grave emergenza dovrebbe indurci almeno a rimettere un po’ d’ordine nella gerarchia di ciò che conta realmente e, quindi, anche nella scala valoriale del lavoro. Al netto dell’importanza della specializzazione, del merito, degli studi e della formazione o dell’innovazione (e chi più ne ha più ne metta), “valori” che devono essere sempre considerati quando si parla di lavoro (altro che “l’uno vale uno”  degli ultimi anni), c’è qualcosa che proprio non va, a partire dalle disparità retributive.  Ci sono lavoratori (pensiamo agli insegnanti) che tutti ritengono fondamentali, ma che continuano ad essere tra quelli peggio pagati (lo stipendio di un dirigente regionale o di un portavoce è tre volte quello di un insegnante di scuola primaria). Ma facciamo un esempio a noi vicino e limitiamoci al lavoro pubblico. Durante questa crisi i Capi ripartizione del comune di Mondragone, apicali di Livello D con posizione organizzativa, che svolgono, come è noto, un pubblico servizio, sono rimasti a casa in smart working ed hanno continuato a percepire lo stipendio dovuto con assoluta regolarità e senza avere alcuna mensilità pregressa da riscuotere. Gli operatori del servizio rifiuti (che svolgono anch’essi un servizio pubblico, seppur appaltato ad una società esterna al comune) hanno continuato invece ogni giorno ad uscire per strada per raccogliere la nostra immondizia, come prima e  forse addirittura con qualche problema di sicurezza in più. Le convenzioni in atto e il rango che è stato dato a queste due tipologie di lavoratori porta i primi ad avere uno stipendio più del doppio di quello percepito dai secondi. Non solo, ma a questi ultimi ancora non vengono elargite alcune mensilità pregresse, addirittura dello scorso anno. E sapete perché? Perché il comune di Mondragone non riesce a pagare la società dalla quale dipendevano questi lavoratori (prima del passaggio di cantiere che li ha portati a dipendere dalla nuova società). E il comune non riesce a dare quanto deve a quella società perché non ha soldi (perché c’è molta evasione sulla Tari, perché le entrate da anni sono inferiori alle spese, ecc.; in questi giorni stanno cercando di pagare ancora la Senesi spa per i mesi estivi). Sarebbe il caso di iniziare a porci alcune domande: ma per pagare i suoi Capi ripartizione i soldi il comune dove li piglia? Perché i soldi ci sono sempre per i Capi ripartizione e mai per gli operai del servizio rifiuti? E chi decide che i primi devono essere pagati e i secondi no? Ed esternalizzare ed accettare la “logica del ribasso” non significa determinare le condizioni di subalternità e sfruttamento di alcuni lavoratori, garantendo indirettamente privilegi e sicurezze  ad altri? E’ ovviamente sbagliato oltre che inutile contrapporre i lavoratori tra di loro, ma resta il fatto che anche nel mondo del lavoro a pagare alla fine sono sempre “gli ultimi”, quelli con meno tutele. Per l’AMBC  è arrivato il tempo, nel nostro piccolo, di ripensare il lavoro pubblico comunale e, soprattutto, le modalità di gestione dei servizi pubblici locali, anche per superare queste inaccettabili disparità di trattamento. A livello generale c’è bisogno invece di un nuovo modello di sviluppo  e occorre iniziare a considerare il lavoro come fuori mercato, reinventando le regole della sua redistribuzione e garantendo, in una fase che fa esplodere i dati sulla povertà di massa, un reddito di base capace di garantire ogni lavoratore occupato ma anche ogni disoccupato.

Redazione On Line