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Come la Medusa omerica, la mafia è trasversale, multiforme, in grado di mutare geneticamente al fine di sopravvivere ai colpi inferti dal legislatore alle sue pervasive articolazioni.

Intervista ad Alessandra Buonasera, vincitrice del bando di concorso per tesi di laurea e di ricerca indetto dalla Spring Edizioni.


La prima cosa che forse più ci colpisce quando entriamo in una libreria per scegliere un libro è la sua copertina, quella del tuo è senza dubbio sui generis per un testo giuridico. Come mai questa scelta? 

L’immagine in copertina raffigura il mito di Perseo e Medusa. 

Un efficace contrasto integrale del fenomeno mafioso presuppone una consapevole presa di coscienza collettiva, non solo, dell’estrema pericolosità dello stesso, per più versi ben nota, ma ancor più delle cause, non sempre altrettanto note, che fanno della mafia un fatto trasversale, multiforme, in grado di mutare geneticamente al fine di sopravvivere ai colpi inferti dal legislatore alle sue pervasive articolazioni, alle sue fraudolente branche, dotate sempre più spesso di vita propria: come la Medusa omerica, essa si serve dell’assoggettamento del prossimo, paralizzandolo, in uno stato di impotente rassegnazione.

“La destinazione dei beni confiscati alla mafia”, da cosa ha origine la scelta di questo tema? 

Questo lavoro nasce dalla forte motivazione di condurre un attento studio sul tema della gestione e della destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, con un particolare riferimento al patrimonio culturale illecitamente sottratto dal malaffare e restituito alla collettività per mano dello Stato. 

Tale curiosità è figlia della mia stessa genesi culturale: sono siciliana e credo fermamente che l’Italia, e la Sicilia in particolare, siano custodi di un inestimabile tesoro; un tesoro perduto, maltolto, troppo spesso occulto, un tesoro fatto di beni mobili, immobili e produttivi, ma inverato altresì da testimoni millenari di civiltà e cultura: opere d’arte sottratte alla Nostra Terra, trafugate per il loro valore economico, costituenti occasioni rubate di crescita e di sviluppo, anche mediante turismo di spessore.

Questa scelta, inoltre, mi ha portato fortuna conducendomi alla vittoria del concorso indetto dalla SpringEdizioni grazie alla quale un sogno è diventato realtà. 

Mafia ed economia, quale rapporto hai colto nel tuo studio? 

La mafia si pone come un contro-ordinamento rispetto a quello statuale, in grado di cambiare continuamente la propria fisionomia creando subdole alleanze capaci di infiltrarsi nelle maglie del tessuto economico ed istituzionale del nostro Paese. 

La criminalità organizzata ha scardinato la siderale dicotomia classica fra crimine violento e crimine fraudolento sopravvivendo ai mutamenti soggettivi dei suoi componenti, colpiti dalle tradizionali misure penali personali, ha imparato a nutrirsi essenzialmente dell’humus economico da cui trae sostentamento.

È dunque verso il progressivo annichilimento proprio del potere economico della criminalità organizzata che oggi lo sforzo del legislatore è proteso, attraverso misure preventive e ablative in grado di superare l’aporia del “capro espiatorio” atomisticamente inciso dalla pena detentiva, verso un diritto antimafia sempre più costituzionalmente orientato ad un paradigma preventivo volto alla creazione di un sistema di produzione e conservazione della sicurezza, riguardo cui il momento della destinazione, logicamente postergato, assume un rilievo centrale al fine di rigenerare i patrimoni sottratti dalla criminalità organizzata all’economia legale, restituendoli, grazie all’intervento dello Stato, alle comunità spogliate delle loro risorse.

Il legislatore mostra consapevolezza del peso economico del fenomeno mafioso nel percorso normativo di contrasto delle organizzazioni criminali?

È proprio in questa direzione che si muove il legislatore a partire dall’istituzione, con la L. 50/2010, dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, protagonista del procedimento di destinazione che secondo la Corte Costituzionale, dev’essere informato al prioritario principio “della restituzione alle comunità di riferimento” dei patrimoni sottratti al malaffare, come icasticamente affermato nella Sentenza n.234 del 2012. 

Il quadro normativo che funge da cardine, nel procedimento di destinazione e gestione dei beni confiscati alla criminalità, è il Codice Antimafia, introdotto nel nostro ordinamento dal D. lgs. n. 159 del 2011, che descrive tale procedimento ponendo una regolamentazione differenziata per tre diverse categorie di beni: i beni mobili, quelli immobili ed i beni produttivi. 

Proprio i beni costituenti il compendio aziendale oggetto del provvedimento di confisca sono i più esposti al rischio di depauperamento, collegato ad una loro inefficace gestione e destinazione, con la conseguente inevitabile perdita di preziose risorse occupazionali inveranti l’organico delle imprese incise, spesso vere e proprie “cattedrali nel deserto”, insistenti su territori economicamente depressi, ed ivi costituenti, l’unica chance lavorativa.

Interessanti, a tal proposito, le possibili soluzioni avanzate dalla Banca D’Italia per una efficiente gestione di questi ultimi beni. 

Beni culturali e mafia, un accostamento non usuale, quali i collegamenti esistenti? 

Quella dei beni culturali è dunque una species particolarissima di beni confiscati alla criminalità organizzata.

Il traffico di beni culturali rubati o illecitamente esportati, perpetrato dalla criminalità organizzata, sarebbe secondo, in quanto a volume d’affari, solo a quello del traffico di stupefacenti. Esso depaupera irrimediabilmente il patrimonio storico e artistico dei Paesi di origine: in Europa, l’Italia risulta essere tristemente la prima fra quelli “esportatori” seguita da Francia e Spagna. 

Parliamo eminentemente di “archeomafie”: associazioni criminali organizzate operanti nel settore degli scavi clandestini, del furto e del commercio di opere d’arte. 

I reperti archeologici e le opere d’arte in generale hanno qualità fondamentali in un contesto di riciclaggio: sono beni fungibili e facilmente spendibili sul mercato grazie a case d’aste e gallerie conniventi, collegate anche ad ambienti prossimi al narcotraffico.

In tale contesto i beni culturali assumono un valore ulteriore in quanto possono divenire strumenti di riscatto e di educazione alla bellezza, alla luce di una loro oculata valorizzazione, nel solco dell’indicazione data dai padri costituenti con l’inserzione dell’art. 9 fra i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale, dedicato proprio “alla tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Quali prospettive si aprono dunque per il futuro del patrimonio culturale sottratto al malaffare? 

Nell’ottica “dell’educazione e dello sviluppo nel pubblico del sentimento del valore dei beni culturali”, in ottemperanza alla Convenzione Unesco firmata a Parigi nel 1970, sono state intraprese importanti iniziative dall’alto valore simbolico come mostre dedicate all’Arte Liberata, organizzate dal Mibact e dall’ANBSC, o la ri-materializzazione della celebre “Natività” del Caravaggio, il cui spirito artistico è stato restituito alla città di Palermo in una cerimonia tenutasi alla presenza del Presidente della Repubblica nel 2016. 

Basti ricordare, a tal proposito, che a seguito dell’attività di formazione condotta in Iraq dal comando “Tutela Patrimonio Culturale” dei Carabinieri, il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite ha approvato all’unanimità, nel marzo 2017, l’istituzione dei “Caschi Blu della Cultura”.

La forza evocativa di tali iniziative è in grado, se ben canalizzata anche sul piano internazionale, di sconfiggere l’ombra che insegue atavicamente l’immagine della Nostra terra: quella della mafia. 

La tutela e la valorizzazione dei beni culturali sono il nuovo motore per la crescita economica di un Paese, e se prendiamo in esame il Nostro Paese, le ricadute non devono considerarsi solo in termini di turismo: l’effetto “contaminazione” delle meraviglie del patrimonio artistico che ci appartiene è matrice di una proiezione nel mondo che fa dell’Italia il “Paese del bello”. 

I beni culturali confiscati al malaffare sono dunque sincronicamente testimoni di questi due antichi opposti: sottratti alla criminalità, sprezzante della memoria e della cultura della nostra terra, in seguito ad una destinazione teleologicamente orientata, divengono tedofori ideali della legalità, simbolo e speranza di giustizia, strumenti di riscatto e di educazione alla bellezza, affinché la restituzione del maltolto alle comunità di riferimento “diventi welfare” anche culturale. 

Il cammino di Perseo è ancora lungi dal compiersi ma è già indirizzato verso una gestione ed una destinazione dei beni confiscati alla mafia che conserva come faro la visione di tali beni quale strumento di realizzazione di giustizia sociale.


Alessandra Buonasera. Nata a Messina nel 1992, laureata in Giurisprudenza con lode accademica ed una tesi in Diritto Amministrativo oggetto della presente pubblicazione, Alessandra Buonasera, ha conseguito una ulteriore laurea in Giurista d’impresa. Appassionata di arte, cultura e diritto oggi lavora presso un Istituto Bancario sito in Reggio Calabria continuando a studiare ed a scrivere. Nel 2019 ha vinto il Bando di gara della Spring Edizioni per la selezione e pubblicazione di tesi di laurea in ambito storico-sociale.

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