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MADDALONI- Le chiacchiere stanno a zero. Ma le carte bollate vanno avanti. E pure in una maniera molto seria: il “caso castello”, problematico dal 1926, è approdato innanzi alla Corte di Appello di Napoli. Una sentenza del giudice Antonio Quaranta (consigliere della seconda sezione civile) aveva già confermato la condanna per abusivismo edilizio per il comune e ordinato una perizia Ctu aggiuntiva per attestare lo stato dei luoghi e in particolare il «reale funzionamento dell’impianto che alimenta le case del centro storico pedemontano». Motivo del contenzioso è proprio l’acquedotto costruito nella cinta muraria per il quale è stato stabilito un canone di locazione e in subordine anche un potenziale intervento di smantellamento/abbattimento nonchè ripristino dei luoghi. La perizia Ctu dovrà fare chiarezza. Una volta sciolto questo nodo la questione è risolta? Nemmeno per sogno. Attualmente, sulla scorta della sentenza di primo grado, il comune abusivo paga un canone locazione pari a poco più di 500 euro al mese. Innanzi alla Corte di Appello pende una richiesta di adeguamento fino ad un massimo di 70 mila euro all’anno. L’avvocato Pasquale D’Alessio (proprietario della Torre Artus) contesta pure la retroattività del provvedimento. Chiede il riconoscimento degli arretrati, non già a partire dal 1999 (anno della donazione in suo favore ad opera di Annamaria de’Sivo) bensì dall’anno di costruzione del manufatto.

Aspettative di indennizzo

Pertanto, al netto delle perizie e degli atti giudiziari in corso, si concretizza una aspettativa , sulla base di una interpretazione estensiva della donazione, che sposta la data degli arretrati fino a quella di costruzione del manufatto pari a circa 94 anni. Gli zeri delle cifre aumentano esponenzialmente. L’aspettativa diventa milionaria moltiplicando il canone annuale desiderato (circa 70 mila euro) per 94 anni si supera abbondantemente i sei milioni. Fin qui le carte.

Una rissa lunga un secolo

Ma vi sono altri ingredienti molto più pericolosi. Primo: una situazione complicata da quasi un secolo di abbandono (da ambo le parti) e di mancanza di un serio confronto; la sussistenza di mille altri problemi (problemi statitici ai monumenti, alla cinta muraria, al fronte di cava; sconfinamenti da parte di vicini); secondo: la persistenza delle parti, negli anni, a seguire esclusivamente la via giudiziaria, che da sola (con schermaglie, ricorsi, ingiunzioni, diffide) potrebbe ispirare un romanzo ma che, oltre alla carte, non produce risultati significativi se l’obiettivo è la tutela; terzo: in questo clima, non si riesce ad avviare un confronto/dialogo in alcun modo. A far da folcloristica coreografia gli attempati cultori di storia patria, i leoni da tastiera e i cultori della lagna. C’è un fatto nuovo che con il tempo metterà fine alla querelle giudiziaria infinita: castello, torri, parco sono parte integrante del parco urbano est tifatini riconosciuto dalla Regione. Sfogate tutte le pulsioni e i contenziosi, gli attori saranno obbligati solo alla tutela. E allora ne vederemo delle belle, perchè l’unica parte lesa resta il territorio.

Redazione