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L’Italia intera si è svegliata con un altro dolore e la sensazione di aver perso un amico portato via da questo sciagurato 2020, diventato ormai un aggettivo al negativo. Tutto il Paese, e non solo quello che pende dalle labbra del calcio, piange la morte di Paolo Rossi, calciatore tra i più iconici nella storia del nostro campionato ma, soprattutto eroe indimenticato del Mundial di Spagna ’82, il Mondiale di tutti noi, quello impresso nella memoria anche di chi non c’era. Il Mondiale della terza stella dopo i trionfi in bianco e nero degli anni ’30, la Coppa del Mondo vinta dalla Nazionale perfetta che si consegnerà direttamente alla storia. Il Mundial di Gentile che non fa toccare palla a Maradona, di Bearzot che convoca la maggior parte di calciatori non visti di buon occhio dalla stampa, di Bruno Conti che diventa Marazico, dell’urlo di Marco Tardelli diventato più famoso di quello di Van Gogh, di Dino Zoff che alza la Coppa, di Gaetano Scirea, signore della difesa, e del Presidente Sandro Pertini che fa l’ultras in tribuna d’onore accanto al Re di Spagna. Spagna ’82, però, è stato soprattutto il Mondiale di Paolorossi, scritto proprio così, tutto d’un fiato, perché quel nome diventò un marchio indelebile. La scommessa folle di Bearzot che convoca un ragazzo di ventisei anni appena rientrato dalla squalifica per il calcio scommessa e che nelle prime tre partite (quelle del gironcino di qualificazione) praticamente non viene nominato nemmeno dalla telecronaca tanto è impalpabile la sua presenza sul rettangolo di gioco. Poi la svolta nella seconda fase. La tripletta al Brasile Meravigliao di Socrates, Junior e Falcao, la doppietta in semifinale alla Polonia, il gol nel trionfo di Madrid scandito dal “Campioni del Mondo” ripetuto tre volte da Nando Martellini.

Paolo Rossi alza la Coppa con il suo sorriso timido e quel garbo che ha accompagnato tutta la sua carriera di bomber prima e di commentatore Rai, Sky e Mediaset, dopo aver appeso gli scarpini. D’altro canto “Paolo Rossi era un ragazzo come noi” come canta Antonello Venditti in una sua famosa canzone. Una semplicità che nasce già dal nome, lui uno dei tanti signor Rossi d’Italia, diventato poi il più celebre ed indimenticato. Pablito ci ha lasciato nel cuore della notte a 64 anni, dopo aver lottato contro un male incurabile. A darne la notizia è stata la moglie attraverso un post su Instagram, subito seguito dal giornalista Rai, Enrico Varriale. Una carriera non lunghissima e sicuramente finita molto tempo prima del normale epilogo anagrafico. Colpa di ginocchia e menischi troppo fragili che proprio dopo Spagna ’82 iniziarono a scricchiolare definitivamente. Nato a Prato, sarà per tutta la vita un toscano atipico, poco irruento e sfrontato, sempre avvolto da timidezza e compostezza, dentro e fuori dal campo. Un personaggio lontanisimo dagli stereotipi patinati di oggi.

LA CARRIERA

Già nel 1972 la Juventus poggia gli occhi su di lui acquistandone il cartellino. Lo manda a Como a fare esperienza ma la Serie A è ancora piena di insidie. La svolta con la maglia del Lanerossi Vicenza: 94 partite e 60 reti tra Serie B e soprattutto due anni in A. Una crescita calcistica ma soprattutto umana grazie all’allenatore Fabbri che gli cambia il ruolo in campo (da ala a centravanti vecchia maniera) e soprattutto da una sterzata alla carriera. Paolo Rossi è ormai pronto a spiccare il volo dopo un anno al Perugia, dove conferma il suo feeling con il gol. Siamo nel 1980, la Juventus sta per riaprire le porte a quel bomber di provincia a lungo seguito, ma in Italia scoppia lo scandalo del Totonero, con le volanti della polizia sui terreni di gioco e le manette negli spogliatoi. Un’immagina mai sbiadita dal tempo. C’è anche Paolo Rossi, accusato di aver truccato un Avellino-Perugia. La squalifica gli fa saltare l’Europeo del 1980 ma soprattutto lo segna profondamente. Medita di lasciare l’Italia, Trapattoni e Bearzot lo convincono a restare. Torna in campo nell’aprile del 1982. Poche partite per vincere il ventesimo scudetto della storia bianconera e guadagnarsi una chiacchieratissima convocazione in Spagna. Il resto è storia, non solo calcistica. Paolo Rossi diventa il capocannoniere del Mundial, sarà il terzo italiano a vincere il Pallone d’Oro e vivrà ancora belle stagioni juventine con scudetti, la Coppa delle Coppe, la Supercoppa Europea e la maledetta notte dell’Hysel. Le ultime annate con Milan e Verona sono coraggiose ma povere di soddisfazioni. Poco importa, Paolorossi si è già guadagnato l’eternità. Chiude la carriera con 251 presenze e 103 reti in Serie A, 48 gettoni e 20 realizzazioni con la maglia azzurra. Immediato il cordoglio delle istituzioni: la FIGC ha deciso di abbassare i vessilli nella sua sede romana, bandiere a mezz’asta in via Allegri, e soprattutto a Coverciano, la casa della nazionale, a Firenze.

Paolo Rossi con la maglia del Lanerossi Vicenza

IL RICORDO DEI COMPAGNI DELL’82

DINO ZOFF: “Abbiamo sempre avuto un grande rapporto con Paolo, simpatico, intelligente. Era un po’ che non ci sentivamo, ci avevano detto qualcosa ma non pensavo fosse così grave. I rapporti con lui erano stupendi, era simpaticissimo. Intelligente, aveva tutto per stare bene. Qualcosa di difficile da capire

ANTONIO CABRINI: “Sei mesi fa ho perso un fratello, oggi ne piango un altro. Non voglio dire altro, per me questo non è il momento di parlare

FULVIO COLLOVATI: “Mi continuano a scrivere nella chat i miei compagni dell’82… se ne è andata una parte di noi. Se ne va una parte della mia vita. Vogliamo continuare a ricordarlo come ce lo ha ricordato stanotte sua moglie

Vincenzo Lombardi