00 5 min 7 anni


MADDALONI- Il primo settembre arriva Pina Picierno. Meglio tardi che mai. E il Pd locale, con la sede in locazione e sigillata da oltre un mese, per qualche ora riapre i battenti. Ma sarà un’assise riservata: da una parte il commissario (che ha osservato un religioso silenzio nella fase politica più inquietante delle ultime amministrative) e dall’altra i supersiti del quartetto dei subcommissari, orfani di Maurizio Reitano che da tempo si è sottratto al balletto del commissariamento perpetuo e della delega ad oltranza. Sul tavolo si cercheranno forse di affrontare due argomenti tabù. Il primo: abbozzare uno straccio di analisi politica (che fino ad oggi non c’è stata) sulla gestione balbettante del risultato elettorale. Emerge tutto l’imbarazzo su come si possa politicamente inquadrare o giustificare il «tafazzismo ossessivo compulsivo», con cui il Pd locale e il centrosinistra collegato si sono automartellati gli attributi politici riuscendo a non vincere le elezioni. Il clima è surreale come quello che potrebbe generare una partita di calcio quando la squadra favorita, in una finale, sbaglia un calcio di rigore senza il portiere in porta per giunta al novantesimo. E’ evidente che c’è stato il tiro a bersaglio contro il candidato a sindaco Peppe Razzano. E questo non può essere taciuto o rimosso. L’altro tabù (forse anche più inquietante) si chiama congresso cittadino. Un commissariamento così lungo, nella palese assenza di fatti gravi (infiltrazioni malavitose, reati penali e/o arresti della classe dirigente locale) non ha ragione di esistere. Quindi, non si può non andare al confronto interno e all’autogoverno del partito. Eppure è bastato che il buon «zio Carlo D’Angelo», tesserato di lungo corso, ipotizzasse, abbozzasse e soprattutto paventasse (raccogliendo una valanga di adesioni) la raccolta firme per la convocazione di un congresso straordinario che si è scatenato il terremoto. «Quieta non movere et mota quietare»: è questo lo slogan che vige nel partito. Non agitare ciò che è calmo e quieta cìò che si agita. E le proposte, che serpeggiano dietro le quinte, per la celebrazione de solito congressino purché si approdi a posizioni unitarie sono una soluzione peggiore del male. Le segreterie, nate dal consenso unitario ad oltranza (da Federico Lasco fino a Salvatore Mataluna) hanno prodotto solo ammucchiate dirigenziali, perdita di vitalità politica e puntuali sconfitte alle amministrative. Mentre la politica sarebbe confronto, individuazione di una maggioranza interna, di una linea politica e garanzia per le opposizioni. Questo non è più il momento della campagna elettorale ma della politica attiva. E questo Pd (partito di maggioranza relativa alle ultime amministrative) si ostina a volere non crescere preferendo assomigliare ad un aggregato di comitati elettorali incapaci di articolare un pensiero e figuriamoci una strategia politica unitaria. Il Pd di Maddaloni insegue, anche con ottimi risultati, il consenso ma ha vive la fobia della politica. Ma un partito «politico-fobico» è un non senso: è come un chirurgo che ha paura del sangue. E’ inutile fare finta di niente: il Pd di Maddaloni deve essere retto dai maddalonesi. Gli iscritti lo vogliono anche se, a parte Carlo D’Angelo, non hanno il coraggio di venire allo scoperto. Intanto, la mobilitazione appena cominciata ha prodotto l’avvento della Picierno. quindi un primo, e certamente salutare, confronto. Molto c’è da fare: non si vive di whatsapp; non si comunica con la città a colpi di comunicati stampa copia e incolla ma mediante il confronto con la gente. Cosa ben diversa dall’incontro-confronto con gli elettori. Il Pd è al bivio: restare un mega comitato elettorale (operativo solo prima, durante e dopo l’apertura dei seggi) o diventare portatore di politiche amministrative capace di intercettare i sogni e i bisogni del territorio.

bocchetti