00 5 min 3 anni
L’uscita del Manchester City e del Chelsea hanno creato un effetto a cascata: tutte le squadre inglesi hanno rinunciato alla partecipazione alla SuperLega, poco dopo anche Atletico Madrid e Inter si sono defilate

Dalla Rivoluzione alla restaurazione. Quello che avrebbe dovuto rappresentare una svolta epocale per il mondo del pallone – apprezzabile o meno – si è trasformato in un flop. Un bluff secondo alcuni, per costringere l’Uefa a rivedere le sue posizioni in tema di competizioni europee – o meglio, ad allargare i cordoni della borsa. Si vocifera infatti che dietro il crollo del progetto messo in atto dai Club Fondatori ci sia un “ristoro” da parte del massimo organo di governo del calcio europeo; una brutta figura secondo altri, figlia di opposizioni e pressioni che si sono verificate soprattutto in Inghilterra, dove la Premier League rappresentava la delegazione più numerosa con sei club – City, United, Liverpool, Chelsea, Arsenal e Tottenham. Boris Johnson è stato uno dei principali oppositori della Superlega, seguito da allenatori e giocatori del campionato di Sua Maestà.

Ma sono stati soprattutto i tifosi delle squadre d’oltremanica partecipanti alla Superlega a manifestare la contrarietà al progetto: chissà se le loro proteste sono state il principale fattore a spingere le società della Premier prima al dietrofront, poi alle scuse. Le hanno porto John W Henry, proprietario del Liverpool (“Chiedo scusa ai tifosi“) e l’Arsenal (“Abbiamo commesso un errore e ci scusiamo“). Sarebbe bello immaginare un mondo in cui le proteste pacifiche e civili come quelle fatte dai tifosi inglesi toccassero altri contesti della vita quotidiana – la politica ad esempio – influenzandone le scelte, allorquando si pensa maggiormente all’io e non al noi.

I tifosi inglesi in protesta
Sospesa la Superlega

È evidente che non si può fare un torneo a sei squadre“: è il commento di Andrea Agnelli dopo la decisione di sospendere la Superlega, comunicata in una nota. “La Superlega è convinta che l’attuale status quo del calcio europeo debba cambiare. Proponiamo una nuova competizione europea perché il sistema esistente non funziona. Date le circostanze attuali, riconsidereremo i passaggi più appropriati per rimodellare il progetto, avendo sempre in mente i nostri obiettivi di offrire ai tifosi la migliore esperienza possibile, migliorando i pagamenti di solidarietà per l’intera comunità calcistica“.

Va contestato il mezzo, non il fine

La contrarietà alla Superlega non nasce dalla critica al suo fine, ma al mezzo impiegato. Quello che tagliava via la meritocrazia e che aumentava sempre di più il divario tra i club. Se senza Superlega la Juventus ha dominato per 9 anni incontrastata, cosa sarebbe successo con tre squadre con milioni e milioni di euro di incassi? Fine delle rarissime favole. E non vale solo per il recente Leicester, ma anche per un Napoli di qualche anno fa vicinissimo all’impresa. O per un Tottenham oggi Club Fondatore ma in finale di Champions due anni fa.

Di contro però va sottolineato come è stata l’inclusività ad abbassare la competitività. Allargando la partecipazione alla Champions alle prime 4 squadre, le società si sono adeguate all’obiettivo minimo, senza preoccuparsi di alzare l’asticella, provando a puntare più in altro. E di brutte figure le squadre italiane ne sono fatte in Europa. Di conseguenza anche l’ex Coppa Uefa ha perso fascino e attrattiva. Perché allora non trovare una via di mezzo? Una Champions vecchio stile a cui partecipano le squadre vincitrici di tot. campionati e le seconde classificate. Le altre in Europa League, a ristabilirne l’importanza. Una settimana la Champions, una l’EL, togliendo il giovedì fastidioso, magari riservandolo alla Conference League. Potrebbe essere un modo per aumentare la competitività dei campionati e quindi l’attrattività e la redditività delle coppe europee. Potrebbe essere una soluzione figlia di una mediazione alla quale ora sono chiamati Uefa e “ribelli”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Luigi Ottobre