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Scuola Si, Scuola No. Scuola in presenza oppure continuare in DAD. Quanto può essere importante e soprattutto necessario ritornare tra i banchi a poco più di un mese dal termine di un anno scolastico difficile e complicato? Sono gli interrogativi martellanti di questi giorni, da quando, lunedì 19 aprile, sono stati riaperti plessi ed istituti con il solito corteo di favorevoli e contrari. Problemi ed incognite che, puntuali, sono ritornati a risuonare nella maggior parte dei nuclei familiari. Purtroppo, i primi tre giorni di lezioni non sono stati forieri di buone notizie: studenti positivi, classi in quarantena, tanta paura tra docenti e genitori ed immediate ordinanze dei sindaci di sospensione delle attività didattiche. Molti comuni della Regione hanno optato per una linea di rigore, ed hanno prorogato la chiusura delle scuole. Per il momento ancora tanto caos con la “zona arancione” che prevede il ritorno in aula, oltre a bimbi dell’asilo, alunni di elementari e prima media (che già frequentavano le lezioni in presenza anche in zona rossa), anche gli alunni delle seconde e terze medie, mentre per le superiori la didattica in presenza va garantita da un minimo di 50 ad un massimo del 75% degli alunni. La curva “scolastica” dei contagi non lascia spazio all’ottimismo nonostante l’incommensurabile voglia di normalità degli studenti. In momento in cui il Paese cerca la tanta sospirata svolta sotto la spinta dei vaccini, era indispensabile esporsi a questo nuovo rischio? Lo abbiamo chiesto al dottor Stefano Piccolo, famoso e stimato pediatra di Maddaloni che sta vivendo il COVID scolastico quasi in simultanea, viste le tante chiamate che arrivano al suo studio da parte di tanti genitori preoccupati.

Il pediatra Stefano Piccolo

Il problema più grande – esordisce il dott. Piccolo – resta il tracciamento e non certamente l’apertura delle scuole. Se per ogni bambino che risulta positivo si riuscisse a capire la natura del COVID, semplice oppure appartenente a una variante, se si facessero tamponi di controllo al resto della classe, se fossimo in grado di seguire gli sviluppi del contagio, allora tutto risulterebbe più gestibile. Tenere sotto controllo questo tipo di situazione è pressoché impossibile. Per non parlare di un altro problema di carattere “morale” se così vogliamo definirlo: è giusto togliere tempo, energie e tamponi a quelle persone che stanno lottando contro questo virus? Riaprire le scuole è la classica situazione senza ne vinti ne vincitori. Con il numero di morti che leggiamo ogni giorno era meglio prendere delle precauzioni. Quali? Ultimo mese di lezioni all’aperto senza classi pollaio e gli assurdi assembramenti che vediamo all’ingresso e all’uscita. In questi primi giorni di riaperture molti, troppi casi di bambini positivi che spesso hanno trasmesso il virus anche ai loro genitori. Si parla tanto di studenti che hanno ormai perso il contatto con il loro vero mondo, quello della scuola, e che socializzano solo attraverso il freddo schermo di un computer ma mi chiedo: è più traumatico andare a scuola con la paura di un contagio, con il personale docente che non può avvicinarsi agli alunni e con tanti altri limiti, oppure continuare con una sana DAD? Personalmente avrei evitato queste nuove preoccupazioni – conclude il pediatra – per iniziare a programmare una riapertura completa e in sicurezza per il nuovo anno scolastico”.  

Vincenzo Lombardi