00 7 min 4 anni

MADDALONI- (di Angelo Schiavone) Sono ormai trascorsi 36 anni dalla scomparsa di Franco Imposimato, ho sentito il dovere di ricordarlo con un mio personale pensiero, riproponendo uno scritto di qualche anno fa, ma che ritengo attuale perché parla di esperienze vissute con un amico.

Questo mio scritto va a Giuseppe e Filiberto che con il loro impegno sociale tengono alta la memoria del sacrificio del loro padre che mai deve essere dimenticata. E alla memoria di Ferdinando Imposimato a cui devo tanto per quanto mi ha dato.

Era un pomeriggio di Ottobre, un sole ancora tiepido riscaldava l’aria, mi affrettavo per arrivare in orario all’appuntamento che avevo con il mio amico Antonio che di lì a poco sarebbe uscito dalla Fabbrica. Avevo finito la lezione di Minibasket, sollecitavo i ragazzini a fare presto. Quel pomeriggio ancora caldo era l’11 Ottobre del 1983, svoltai per via Campolongo, un attimo prima mi sfrecciava davanti un’auto bianca, che poi seppi che era quella degli assassini.Da lontano vedevo un gran movimento, Soldati fermi vicino ad una macchina, le baracche dei terremotati che incominciavano ad animarsi.

Forse è successo un incidente, dissi tra me e me. Più mi avvicinavo e più riconoscevo quell’auto, unica nel suo genere. Pensai, è Franco Imposimato, avrà avuto uno scontro d’auto con i militari. “Dissi ai bambini in auto di non guardare, passai sbirciando all’interno della macchina, mi resi subito conto che qualcosa di grave era successo. Infatti con il mio amico Antonio Roberti, mentre accompagnavamo i ragazzi a casa, incrociammo un’auto dei carabinieri a sirene spiegate, quello che pensavamo, ma in cuor nostro scongiuravamo, sembrava esser successo. Ne avemmo certezza quando tornammo sul posto, in via Campolongo.

Hanno sparato a Franco e alla moglie, questo fu il primo e gelido commento ascoltato sul posto. Rimanemmo tutto il tempo che giudici, poliziotti e carabinieri non ebbero finito, e da Roma era arrivato anche il giudice Imposimato, Ferdinando il fratello di Franco che per noi giovani era un mito. Tornai a casa, da poco era nato il mio primo figlio, dissi a Chiara, mia moglie, che avevano ammazzato Franco, mentre la moglie era grave. Come era potuto accadere una cosa del genere ad uomo così buono. Fu la prima osservazione che fece mia moglie.

Con Franco, mi legava un’amicizia nata sui campi di pallacanestro.

Io, giovane giocatore della gloriosa Libertas Maddaloni, lui uno dei più affezionati sostenitori della squadra tanto che il suo particolare grido di incitamento alla squadra era diventato famoso. Insieme inoltre seguivamo le squadre in trasferta. Quella che ho impressa nella mente, che ricordo ancora con gioia è la finale in cui era impegnata la squadra femminile, era valida per l’accesso alla seria A, si tenne a Pisa. Giornata indimenticabile, Franco ci allietava con il suo modo giocoso, allegro, sempre pronto alla battuta. Ho detto che la ricordo con gioia anche se perdemmo.  

Ma era nella mitica palestra di via Marconi, dove asserragliati uno sull’altro, ogni domenica casalinga esplodeva tutta la nostra fede per i colori della maglia, che si chiamasse, Pepsi, Emerson o Libertas Maddaloni. Poi dai campi di basket, ci siamo ritrovati nelle piazze, per i diritti dei lavoratori. Io, da giovane contestatore, Franco da operaio di una grande fabbrica, oggi scomparsa. Eravamo uniti dallo stesso ideale di uguaglianza, libertà e solidarietà.

In quei tempi, un punto di incontro per molti di noi era il negozio sul corso I Ottobre di “Foto Lino”, che era gestito da un’altra figura mitica della Maddaloni un po’ naif dell’epoca, Pasquale D’Antonio, che Franco a suo modo chiamava sempre ad alta voce  “ritrattaro della malora”. Quante serate passate in allegria, sempre a fare gara a chi le sparava più grosse con aneddoti e “fattarielli[1]. Con Franco Imposimato mi legava poi anche l’impegno civile. Io l’ho portato avanti con la politica, lui con il Gruppo Archeologico Calatino. Chiunque all’epoca sapeva della bravura di Franco nel dipingere, nel tramutare in disegni la sua Maddaloni, con i vicoli, le torri e tutte le bellezze nascoste a chi non sapeva osservare come lui. Oggi credo che ci siano riproduzioni della nostra città fatte da Franco in quasi tutte le case dei maddalonesi, quelli veri almeno, veri come lui.

Era proverbiale la disponibilità di Franco a dare una mano a chi ne aveva bisogno. Voglio finire però con la prima cosa che ci ha accomunati, il basket. Quando la gloriosa Libertas, per diversi motivi che non sto qui ad elencare, chiuse i battenti, io e un gruppo di amici ci inventammo una nuova società il Basket Maddaloni. Con l’aiuto di tanti sponsor andavamo avanti e per ricambiare ad alcuni facevamo dei cartelloni pubblicitari. Ebbene era proprio Franco che di sera, in palestra al freddo, ma sempre con grande entusiasmo, ci aiutava in questo dipingendo i pannelli tra scherzi e risate. Con la sua trascinante simpatia che strabordava da dietro a quelle lenti spesse. Ricordo che immerso tra i colori mi ripeteva, si fa tardi, “facimm’ ampress”[2], ma sistematicamente ci attardavamo nel discutere su come migliorare la nostra città.

L’omicidio, il Sacrificio di Franco Imposimato, un uomo per bene, onesto, che solo la barbaria della mafia poteva pensare di eliminare. Mani efferate e grondanti di sangue che hanno privato di un padre i figli, di un marito la moglie e hanno tolto a noi tutti un amico sincero e vero, di quelli che vorresti sempre al tuo fianco.

Ciao Franco

Maddaloni 11 Ottobre 2019                                                  Angelo Schiavone


[1] Piccole storie, piccoli racconti

[2] Facciamo presto

Redazione