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MADDALONI- Prigionieri dei cantieri. Inondati dalla polvere. Immersi in una nube costantemente trasportata dal vento. Infissi chiusi per evitare che il terriccio inondi le abitazioni private, le scale persino le cantine. Non si vive ‘più in via Carmignano. Se il terriccio fosse bianco, le case che costeggiano gli scavi della linea ferroviaria Bari-Napoli, sembrerebbero coperte di neve. Sempre peggio: ora non si lavora più. Un altro durissimo colpo inferto alle attività commerciali, già paralizzate dall’emergenza Covid-19. Il terreno sciolto, spazzato via dalle folate di vento lungo una gola da sempre battuta da venti sostenuti, si infila dappertutto. Tanto che gli abitanti degli immobili vicini sono costretti a sigillarsi in casa e utilizzare panni bagnati per evitare l’infiltrazione di polveri dalle fessure degli infissi. Non stanno meglio gli operatori commerciali. Tra questi l’ “Osuarg eventi”, lounge bar, specializzato in ritrovi e meeting. Dove ci si ritrovava per ricordare momenti importanti, da qualche giorno si fa fatica anche a respirare. E’ un disastro.

A documentare come un’attività imprenditoriale possa essere messa in ginocchio più della pandemia è il titolare Giuseppe Grauso. Bastano le immagini: il terriccio, che in alcuni punti ha formato depositi di oltre 20 centimetri, copre tutto: il piazzale, gli spazi esterni, i salottini e i locali. Addirittura le coltri di materiale hanno non solo cambiato il colore dell’acqua della piscina. Ma sul fondo si tocca un panno di terra.

L’accumulo nella piscina

Il problema della pulizia è il danno minore: è andato in tilt il sistema di riciclaggio continuo dell’acqua e il motore che spinge la circolazione.

“Fin quando si trattava di rimuovere la terra e far pulizie -ci spiega il titolare- contavamo solo i disagi. Adesso, contiamo i gravi danni economici arrecati agli impianti, a cui vanno sommati i danni alle poltrone, ai locali. Danneggiati pure gli strumenti utilizzati dal personale”. Così, non si può andare avanti. Grauso lo dice a chiare lettere: “Siamo rovinati. Non siamo più nelle condizioni di svolgere la nostra attività”. E non si parla più di disagi (come abbiamo raccontato nei mesi scorsi) ma di danni imprenditoriali e commerciali. La storia si ripete: esattamente un anno fa, i residenti inferociti (costretti a tapparsi in casa) chiedevano interventi per abbattere le polveri. Ma questa volta, la creazione dei terrapieni e l’accumulo dei terreni di scavo non pone solo il problema dei mancati interventi di contenimento, cattura e confinamento delle polveri. Insomma, niente terreno bagnato e nessun telo a trattenere le polveri o comunque limitarne la fuga. Chi paga i danni? Chi indennizza le attività costrette allo stop forzato prolungato a cui, in occasione dell’arrivo della bella stagione, è impedito anche di programmare la ripersa. Questa volta un problema ambientale, di messa in sicurezza, di tutela della vivibilità, si sta trasformando in dramma socio-economco. Ed è certo che oltre alla solita strada delle proteste, formalizzate in comune, si apre quella della richiesta di indennizzo e delle aule del Tribunale.

La nuvola di polvere
Redazione