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di Luigi Bove*

Nel 2021 ricade il settimo centenario della scomparsa di Dante Alighieri , il Sommo Poeta , nato a Firenze nel 1265 e morto a Ravenna nel 1321.

Dante Alighieri è considerato, in tutto il Mondo, come il “padre” della lingua italiana ed è l’autore della “Divina Commedia” , cioè la più grande opera letteraria scritta in lingua italiana e soprattutto uno dei maggiori capolavori letterari universali. Ricordare e celebrare Dante Alighieri significa soprattutto imprimere un segnale incisivo e forte per la promozione della lingua italiana nel mondo e tra le comunità italiane all’ estero.

E ricordare, proprio il 25 Marzo, Dante Alighieri significa sottolineare una data fondamentale che per tutti viene considerato come l’ inizio del viaggio nell’ aldilà descritto nella Divina Commedia che oltre ad essere il più grande capolavoro letterario italiano rappresenta una pietra miliare della lingua italiana e del patrimonio linguistico nazionale dall’ estimabile valore.

Un patrimonio che quindi non basta averlo ma che è necessario valorizzare, esaltare e anche difendere rispetto ad un momento in cui si mette in pericolo anche l’originalità e la storicità della nostra lingua italiana.

A tal proposito condivido anche la battaglia non retorica, non strumentale, non nostalgica ma consapevole e se mi consenta, identitaria che il partito Fratelli d’ Italia ha lanciato proprio in ricordo di Dante Alighieri ma soprattutto per sottolineare l’ importanza di utilizzare termini italiani anziché ricorrere sempre ad espressioni linguistiche e terminologie di altre nazioni.

Non vuole essere e non è assolutamente un embargo linguistico ma è e vuole essere invece un legittimo e orgoglioso nonché consapevole tentativo di riaffermare l’ importanza della lingua italiana e di conseguenza dell’ identità nazionale.

Sarebbe quindi auspicabile- cosi come chiede Fratelli di Italia – che lo Stato italiano nei suoi organismi centrali e ramificazioni territoriali, utilizzasse una terminologia italiana approvando una politica linguistica chiara.

Da uno studio recente emerge che dal 2000 ad oggi il numero delle parole inglesi – per esempio- confluite nella lingua italiana scritta è del 773%. Inoltre la presenza di parole inglesi nelle leggi, nelle istituzioni e nel cuore dello Stato è sempre più frequente.

Quindi si rende improcrastinabile l’ approvazione di una politica che tuteli il nostro patrimonio linguistico e che anche gli atti dello Stato italiano , e delle sue articolazioni pure periferiche, siano caratterizzati da termini della lingua italiana e non di altre nazioni.

Cosi come proposto e auspicato da Fratelli d’ Italia nella sua campagna “parla italiano”.

*Membro Coordinamento provinciale di Fratelli d’ Italia

Redazione