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Riceviamo e pubblichiamo la lettera degli onorevoli Antonio Del Monaco e Marianna Iorio.

Signor Ministro, Signor capo del DAP,
la pandemia legata al Covid-19 ha riportato al centro dell’agenda politica del Governo le tante difficoltà del nostro sistema penitenziario. Una su tutte, l’emergenza sanitaria, da sempre inevasa e ora più che mai allarmante, all’interno delle carceri. Secondo la “Simpse” (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria) il carcere resta un territorio di scambio di patologie e infezioni. Oltre il 70 per cento dei detenuti ha disturbi psicologici o clinico – psichiatrici; ancora molti sono i casi di soggetti sieropositivi all’Hiv o colpiti da epatite C o tubercolosi. Il lavoro dell’agente penitenziario, il più delle volte considerato quasi alla stregua di un lavoro di polizia di secondo livello, passa spesso in sordina; si tralasciano quelle che sono effettivamente le molteplici difficoltà, soprattutto di tipo psicologico e certamente usurante, che il personale penitenziario deve affrontare ogni giorno a stretto contatto con una realtà molto complessa. Non a caso si sta alzando un grido di protesta e malessere da parte di tutto il personale penitenziario, primi fra tutti gli agenti di polizia, uomini e donne che continuano doverosamente a lavorare non disponendo di sufficienti e adeguate mascherine, guanti, e di ogni utile dispositivo di protezione individuale, ma, soprattutto, non avendo avuto i necessari controlli sanitari utili ad arginare e prevenire i rischi di contagio da Covid-19. Va tenuto conto che gli addetti al Nucleo di Traduzioni e Piantonamenti non sono equipaggiati adeguatamente, tanto più se si stratta di spostamenti verso e da luoghi di ricovero ospedaliero; pertanto le semplici tute di protezione Categoria 1, di cui il personale dispone, non risultano essere sufficientemente idonee, diversamente dalle specifiche tute
di Categoria 3, secondo le attuali Indicazioni ad Interim del Gruppo di Lavoro ISS Prevenzione e Controllo delle Infezioni. L’allarme lanciato proviene da diverse zone del nostro Paese; non comprendere la
specificità e l’eccezionalità dell’ambiente carcerario che, per caratteristica, è un luogo insalubre in cui mantenere le distanze di sicurezza è praticamente impossibile, significa procurare danni all’intera collettività. Gli agenti penitenziari lamentano di essere poco considerati, poco tutelati, ad altissimo rischio di contagio proprio per la difficoltà stessa di
mantenere il distanziamento sociale operando in spazi sovraffollati.
Il lavoro nelle carceri non è meno complesso dell’operato degli altri corpi armati ed organi di polizia ma, diversamente dai loro colleghi, questi ultimi possono avvalersi di una propria sanità, punto fondamentale su cui invitiamo a riflettere. Crediamo infatti che, in un periodo storico tanto straordinario con specifici bisogni che questa emergenza sanitaria ha esacerbato, sarebbe opportuno un ritorno al passato con il ripristino di una Sanità specifica del settore penitenziario attraverso l’assunzione di nuovo
personale medico socio-sanitario e penitenziario. RingraziandoVi per l’attenzione e per il Vostro impegno, inviamo i nostri più cordiali saluti.

Redazione