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Il difensore del Napoli: “Spero sinceramente che questa, per me, triste vicenda possa aiutare tutto il mondo del calcio a riflettere su un tema così grave ed urgente”

Una vicenda che fa male tre volte, si chiude senza un punto.

Fa male, perché in tutto il mondo si è parlato delle espressioni razziste di Francesco Acerbi nei confronti di Juan Jesus, durante Inter – Napoli. Si è parlato della decisione (condivisa) dello staff azzurro e del difensore di non partecipare al ritiro con la nazionale e alle amichevoli americane.

Fa male, perché è successo tutto nel weekend in cui in tutti gli stadi italiani passavano video che riproponevano il messaggio voluto dalla Lega Serie A #KeepRacismOut, proprio contro il razzismo.

Fa male, perché le parole del difensore del Napoli, dopo la sentenza di assoluzione del Giudice Sportivo, lasciano un’amarezza senza speranza.

“Ho letto più volte, con grande rammarico, la decisione con cui il Giudice Sportivo ha ritenuto che non ci sia la prova che io sia stato vittima di insulti razzisti durante la partita Inter-Napoli dello scorso 17 marzo: è una valutazione che, pur rispettandola, faccio fatica a capire e mi lascia una grande amarezza.

Sono sinceramente avvilito dall’esito di una vicenda grave che ho avuto l’unico torto di aver gestito “da signore”, evitando di interrompere un’importante partita con tutti i disagi che avrebbe comportato agli spettatori che stavano assistendo al match, e confidando che il mio atteggiamento sarebbe stato rispettato e preso, forse, ad esempio.

Probabilmente, dopo questa decisione, chi si troverà nella mia situazione agirà in modo ben diverso per tutelarsi e cercare di porre un freno alla vergogna del razzismo che, purtroppo, fatica a scomparire.

Non mi sento in alcun modo tutelato da questa decisione che si affanna tra il dover ammettere che “è stata raggiunta sicuramente la prova dell’offesa” ed il sostenere che non vi sarebbe la certezza del suo carattere discriminatorio che, sempre secondo la decisione, solo io e “in buona fede” avrei percepito.

Non capisco, davvero, in che modo la frase “vai via nero, sei solo un negro …” possa essere certamente offensiva, ma non discriminatoria.

Non comprendo, infatti, perché mai agitarsi tanto quella sera se davvero fosse stata una “semplice offesa” rispetto alla quale lo stesso Acerbi si è sentito in dovere di scusarsi, l’arbitro ha ritenuto di dover informare la VAR, la partita è stata interrotta per oltre 1 minuto ed i suoi compagni di squadra si sono affannati nel volermi parlare.

Non riesco a spiegarmi perché mai, solo il giorno dopo e in ritiro con la Nazionale, Acerbi abbia iniziato una inversione di rotta sulla versione dei fatti e non abbia, invece, subito negato, appena finita la partita, quanto era in realtà avvenuto.

Non mi aspettavo un finale di questo genere che temo – ma spero di sbagliarmi – potrebbe costituire un grave precedente per giustificare a posteriori certi comportamenti.

Juan Jesus, dal sito web SSC NAPOLI

C’è qualcosa che la ragione fatica a capire. Il Giudice Sportivo scrive: “Rilevato che la sequenza dei fatti in campo, ricostruita in base ai documenti ufficiali, con l’ausilio del Direttore di gara e comunque visibile in video, muovendo necessariamente dallo scontro di gioco e dall’atto del proferimento di alcune parole da parte dell’Acerbi nei confronti di Juan Jesus è sicuramente compatibile con l’espressione di offese rivolte, peraltro non platealmente (con modalità tali cioè da non essere percepite dagli altri calciatori in campo, dagli Ufficiali di gara o dai rappresentanti della Procura a bordo del recinto di giuoco), dal calciatore interista, e non disconosciute nel loro tenore offensivo e minaccioso dal medesimo offendente, il cui contenuto discriminatorio però, senza che per questo venga messa in discussione la buona fede del calciatore della Soc. Napoli, risulta essere stato percepito dal solo calciatore offeso (Juan Jesus), senza dunque il supporto di alcun riscontro probatorio esterno, che sia audio, video e finanche testimoniale”.

In altre parole: per il Giudice non ci sono prove delle espressioni razziste, di cui ha parlato il mondo intero; però, con ammissione dello Acerbi (o meglio senza alcuna disconoscimento del difensore nerazzurro) le espressioni sono dal “tenore offensivo e minaccioso”.

Quindi? Assoluzione, per insufficienza di prove si direbbe in tribunale. Ma in tribunale, non trova applicazione il regolamento sportivo; un’offesa che non trova riscontro civile o penale, nel campo comporta un provvedimento disciplinare, giallo o rosso (più probabile che sia); così come un fallo che porta ad una espulsione violenta (rottura di un legamento o una frattura), non porterà ad una condanna per aggressione o lesioni. Ma per la (in)Giustizia Sportiva, anche se le espressioni non sono state disconosciute dallo stesso calciatore (che per evitare un provvedimento maggiore ha ammesso di aver detto “va’ via che ti faccio nero”), non meritano di essere sanzionate nemmeno in subordine (come dicono gli avvocati quando si accontentano di non perdere). Nemmeno se il calciatore in questione solo 15 giorni prima ha ricevuto una ammenda di 5.000 euro (che tradotto in termine giuridico, sarebbe: sanzione pecuniaria) perché  in occasione della gara Roma-Inter dello scorso 10 febbraio, ha “tenuto un comportamento sconveniente e grandemente volgare consistito nell’aver rivolto, nel corso del primo tempo e dopo l’avvenuta convalida della rete del vantaggio della squadra nerazzurra dallo stesso realizzata, il gesto del dito medio verso i sostenitori della squadra avversaria assiepati nel settore dello stadio denominato Tribuna Monte Mario“.

E allora quando ad Acerra, un calciatore di origini capoverdiane del Quartograd (Eccellenza campana), viene preso di mira da “gentaglia” sugli spalti, addirittura in riferimento al suo aspetto fisico, alla presenza di ragazzini e bambini, cosa fare? Cosa dire? E se succede nelle serie inferiori o giovanili?

Il calcio, però, altro non è che lo specchio di un Paese che sbandiera l’Inclusione, ma non la vuole nei propri porti; di una Giustizia che è forte coi deboli ma debole con i forti. Un sistema, calcio o Italia, che ha un’unica speranza: le nuove generazioni che hanno negli italiani di seconda/terza generazione i propri compagni di classe, i propri amici del cuore, il fidanzatino o la fidanzatina per cui non vedono differenze di colore, nel tenersi per mano da bambini.

È l’unica speranza, altrimenti non se ne esce.

Photocredit: Ssc Napoli

Aniello Renga