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di Salvatore Nappo

«Non ho mai perdonato, non ho mai dimenticato». È con queste parole, dure ma significative, pronunciate dalla Sen. a vita Liliana Segre che oggi vogliamo ricordare e celebrare il Giorno della Memoria, annualmente onorato il 27 gennaio, storica data che rievoca il 1945, quando le truppe dell’Armata Rossa rivelarono al mondo gli orrori di Auschwitz architettati dal regime nazista. A distanza di decenni l’Italia ricorda sempre in maniera molto sentita le vittime dell’Olocausto, milioni di anime innocenti condannate a morte certa nei macabri campi di concentramento sparsi nel cuore dell’Europa novecentesca. Lo fa attraverso le sue personalità più influenti, le illuminanti riflessioni del presidente Mattarella, i convegni, i dibattiti e tutti quegli strumenti capaci di sviluppare uno stimolo corretto e decisivo negli interlocutori. Si parla di memoria, di ingiustizia sociale, di surreali politiche dell’odio al fine di evitare che le stesse possano diventare oggetto di nuova emulazione, di un male faticosamente estirpato dalle radici del mondo moderno. Il dialogo, di base, genera opinioni e, di riflesso, se coniugato alla digitalizzazione del globo, sostiene quell’automatismo che dovrebbe instillare una quantità infinita di cultura nella mente di chiunque. Un progetto, ahinoi, utopistico nato dall’utilizzo dei social media in modo improprio, sebbene i big del settore abbiano messo in campo più di qualche contromossa per disinnescare il veleno del web, a volte letale, a tal proposito ricordiamo che la Sen. Segre, da oltre 4 anni, vive sotto scorta dopo le minacce ricevute propria via web e dopo la comparsa, a Milano, di uno striscione, a firma di una formazione di ultra-destra, nei pressi di un teatro milanese dove la Sen. quella mattina, nel 2018, parlava ad una platea di 500 studenti sull’universalità dei diritti e l’importanza di fare memoria. Non sorprende dunque il costante rigurgito razzista che naviga a vele spiegate sui canali virtuali, così come non sorprende la stucchevole intolleranza degli odiatori di professione talvolta mascherata da becero black humor nei confronti della comunità ebraica.
Una comunità che ha ‘indossato’ o ereditato un tremendo marchio tatuato sulla pelle, divenuto simbolo di famiglia, in certi casi esibito quasi con orgoglio come testimonianza di sopravvivenza, di individui duri a morire, come a dire: «Io sono ancora qui, nonostante tutto il male e le sofferenze provate». Persone finite iniquamente nel mirino di un utente qualunque di uno dei tanti social web, che davvero molto spesso sono il mezzo usato dagli odiatori dei sopravvissuti all’olocausto, come se la vita non avesse riservato loro abbastanza nefandezze o in un’orazione di pessimo gusto recitata da alcuni esponenti politici senza idee, soggiogati da una misera propaganda partitica. Senza rispetto. Privi di memoria.
È il segnale di un’evidente mancanza di cooperazione tra generazioni ma soprattutto tra istituzioni quali la famiglia e la scuola: bisogna ripartire da qui, dall’istruzione, dalla storia, dall’insegnamento all’inclusione e al confronto, dalla semplice ma mai banale educazione al voler bene al prossimo, escludendo ogni tipo di barriera che possa indurre a focalizzarsi sulle diversità.
Ben vengano, pertanto, le numerose iniziative nelle scuole, al pari di quelle mediatiche: in tv, sui giornali, in radio, con palinsesti ad hoc e programmazioni dedicate, anche per tutto il mese se necessario. Non possiamo permetterci alcun tipo di amnesia, in osservanza del nostro passato, in considerazione di un burrascoso presente e in vista dell’avvenire che ci attende: la parte civile e sana del Paese non dimenticherà mai, Sen. Segre, e si adopererà affinché nessuno possa voltare lo sguardo dall’altra parte.

Redazione