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Il movimento che Ferdinando Imposimato immaginava era proprio quello di restituire un’anima alla politica

Riceviamo e pubblichiamo

Ogni volta che si avvicinano le elezioni amministrative esce fuori tutta la crisi della politica.
Non vorrei esagerare con l’affermare come, nella coscienza dei politici locali nei giorni nostri, di fronte alla grave crisi della politica, sia maturata la convinzione che le conquiste della moderna democrazia potranno essere consolidate soltanto attraverso un forte risveglio e una discesa in campo delle persone perbene che da anni hanno deciso di abbandonare la scena politica locale.
Ma questa mia consapevolezza porta con sé tutta una serie di gravi interrogativi e di questioni da chiarire.

La nascita del movimento

Non so se siete d’accordo ma uno dei segni del nostro tempo è certamente è stata, con la nascita del movimento, la riscoperta della politica e della sua centralità nella vita di ciascuno e della società. Dopo lunghi anni di crisi, quelli della politica senz’anima, ridotta a mera ricerca del potere, e di fronte alle funeste conseguenze che una tale crisi ha portato con sé, con il movimento abbiamo assistito a una vigorosa ripresa della voglia di rinnovamento e dell’impegno. Questa ripresa poi, per scelte sbagliate, si è arenata dopo tanti ostacoli che questa società ci ha imposto, lasciando sul territorio pochi guerrieri a combattere, che vengono quotidianamente isolati.


Oggi, sui nostri territori è largamente diffusa la consapevolezza che la politica è da considerare come una dimensione intrinseca della stessa esistenza umana, della vita d’ogni giorno.
Tutti facciamo quotidianamente l’esperienza che le decisioni politiche, a qualsiasi livello intervengano e da qualsiasi parte siano prese, investono in ogni caso la nostra esistenza personale e comunitaria.
Dunque, l’importanza della politica nasce dalla natura stessa dell’uomo, il servizio per gli altri, se vissuto con disinteresse e carità, è l’arte più grande, perché attraverso una politica efficace, rettamente impostata, si influisce in modo determinante sulla esistenza umana; e non solo sui problemi che maggiormente affliggono la generazione presente, come il lavoro o la pensione, oppure la casa, la scuola, la salute, il tempo libero ecc. ma anche sul futuro dei nostri figli e nipoti, data l’interdipendenza che ormai ci lega tutti in un unico destino.

La centralità della mediazione politica

Tuttavia, l’importanza della politica, pur essendo centrale e determinante, non va assolutizzata. Se «tutto è politica», nel senso che l’esistenza umana non può prescinderne, la politica però «non è tutto» per l’uomo. Certo, la politica assolve il compito di «coagulante sociale» in quanto serve a far coincidere le diverse attività umane e i diversi soggetti sociali in un progetto comune per la realizzazione del bene di tutti; ma la politica non può assorbire tutte le attività e le esigenze dell’uomo.
Oggi abbiamo bisogno di cultura che è l’insieme di valori e di comportamenti di un popolo o di un gruppo- Non è mai un discorso astratto; si traduce inevitabilmente nelle istituzioni della convivenza civile, nelle strutture della città e dello Stato. Ora, il passaggio dalla cultura alle istituzioni e alle strutture pubbliche avviene attraverso la mediazione politica, la quale viene così ad assumere quella importanza centrale, fungendo da anello di congiunzione tra Paese reale e Paese legale, tra progetto e sua realizzazione, tra valori e ideali della gente e programmi dei partiti. Se la politica si corrompe, se l’anello si spezza, allora gli ideali e i valori restano utopia e la prassi politica diviene ricerca del potere, clientelismo, guerra tra correnti, fonte di scandali. La politica, dall’altro lascia intatta tutta la fatica e responsabilità della ricerca, il rischio delle scelte. Secondo me non c’è una causa principale della crisi della «politica» nel nostro tempo, che ha portato alla degenerazione della partitocrazia, è nata proprio dalla innaturale frattura tra prassi e cultura politica.

Restituire un’anima alla politica

Un partito, un sindacato, un ente pubblico che rompe il suo collegamento con il retroterra sociale e culturale è destinato a degenerare, a «bloccarsi» e, alla lunga, a perire. Una prassi politica non più ispirata e vivificata dai valori della gente, dalla cultura della base sociale, non è più nemmeno politica! Il movimento che Ferdinando Imposimato immaginava era proprio quello
di restituire un’anima alla politica. Solo con una rinascita della buona politica, che rimetta il cittadino e non i partiti o le liste civiche, i sindacati o gli enti pubblici con i suoi veri problemi e con i suoi valori al centro del sistema, sarà possibile il rinnovamento dei corpi intermedi, che nonostante tutto restano insostituibili nella nostra democrazia rappresentativa, e soprattutto sarà possibile passare dalla «democrazia bloccata» a una «democrazia matura», come tutti giustamente auspichiamo.
Invece se ci fate caso si va sempre più verso l’astensionismo, lasciando il campo libero ai professionisti della politica del voto di scambio.

Carlo Scalera

Redazione