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Il continuo scavare tra le carte mira “a far conoscere come il Signore ha incarnato, nel corso del tempo, il suo amore nella vita della nostra gente”

di Alfredo Omaggio

Lo scorso 31 maggio Francesco Maria Perrotta, arciprete emerito della parrocchia – arcipretura di S. Andrea apostolo in Arienzo (da lui retta dal 1967 al 2003), ha festeggiato il 70° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. “Don Ciccio”, così è chiamato da tutti, ha con fedeltà e passione adempiuto agli obblighi del suo officium: presiedere il culto, guidare la comunità e annunciare la parola di Dio, avendo costantemente davanti agli occhi la tremenda ammonizione paolina: “Videte vocationem vestram!”. Se si trattasse di un prete “ordinario”, potremmo anche porre fine a questo breve scritto, rendendolo ancor più breve. Ma don Ciccio – che veleggia lucidissimo verso le 93 primavere – fa parte della categoria degli uomini “stra–ordinari”, ovvero dei vegliardi indomiti, fedeli al motto che Plinio il vecchio attribuiva ad Apelle “Nulla dies sine linea”. Nella prefazione di un suo libro ha evocato tre parole che lo identificano: uomo, cristiano, sacerdote.  La sua innata modestia gli ha fatto omettere la quarta: studioso. Ricercatore impareggiabile per decenni si è inoltrato in archivi diocesani, archivi di Stato, archivi storici, intendenza borbonica, compulsando quelle che chiama le “carte vecchie”, cioè i documenti che fanno la storia; miscellanee, statistiche murattiane, carte amministrative, atti di processi e atti regii, documentazioni di visite pastorali, relazioni ad Sacra Limina Apostolorum. La grande sete di sapere lo ha spinto a cercare e poi, soggiunge, “quando scopri, trovi, come fai a nascondere la grande gioia che provi?”. Ecco spiegata la sua fluviale produzione di testi, innanzitutto di storia della Valle di Suessola, setacciata palmo a palmo, con studi su Arienzo, S, Felice, Cancello, S. Maria a Vico. Monografie fondamentali sulla vita religiosa tra il XVI e XVII secolo nella diocesi di Sant’Agata dei Goti in cui all’epoca rientravano i comuni suessolani; sul pagamento delle decime nella Terra di Arienzo, ancora Arienzo nell’anno della terribile peste del 1656, nonché il certosino lavoro sul catasto onciario di Acerra. E poi ricerche di storia materiale sugli antichi mestieri, ancora incursioni su toponimi, epigrafi, descrizioni di chiese, confraternite, corti, grance, masserie, monti di pegni.

Ne è sortito un corpus di scritti dal numero imponente di pagine, ciascuna delle quali frutto di faticose e meticolose acquisizioni per tabulas.

Ad una affrettata considerazione verrebbe da iscrivere il Nostro nella casella forgiata da Federico Nietzsche nella Seconda Inattuale, attraverso la efficace sagomatura dello storico antiquario che custodisce e venera il passato con “fedeltà e amore” (mit Treue und Liebe), ma che si espone al rischio di “mummificazione” della vita passata e di esibire finalmente solo una “furia collezionistica”.

La metodologia storica di don Perrotta storico e studioso

Insomma, potrebbe gravare sui suoi scritti il sospetto che l’insieme di notizie, fatti storici, fatti di cronaca, e perfino spigolature dotte si incartino nel vicolo cieco di un deleterio eruditismo fine a sé stesso, non integrato in un progetto di lavoro complessivo. Ma non è così. Innanzitutto, una lettura attenta, soprattutto dei suoi saggi sulla vita religiosa e sugli aspetti socio economici della comunità suessolana, conferma il possesso di una metodologia storica scaltrita e nient’affatto naïve, al punto da nutrire con suoi scritti una generazione di studiosi “accademici”, a testimonianza di come ormai anche la microstoria, quando non cade nella tentazione di  generare risposte orgogliose quanto insensate, cioè ottusamente identitarie, assuma l’insostituibile ruolo di forte resistenza ai processi di omologazione e alla cancellazione della memoria collettiva, rivendicando spazi e culture locali, che i fenomeni di globalizzazione minacciano di cancellare ed esaltando, nel contempo, la dinamicità dei processi che investono il locale e insieme il globale. Cosicché è proprio la delineazione di un concetto non fossilizzato e statico di “memoria” che ci aiuta a mettere a fuoco il senso che innerva la sua opera.  Il continuo scavare tra le carte mira “a far conoscere come il Signore ha incarnato, nel corso del tempo, il suo amore nella vita della nostra gente”. Questa espressione, così semplice ed immediata, custodisce, a parere di chi scrive, il significato più profondo del Perrotta storico e studioso.  Tutta l’immensa mole del suo ricercare ha insomma un saldo punto di riferimento, perché innesta il succedersi “nel tempo” degli eventi comunitari nel solco di una epifania divina, come espressione della celeste charitas per le creature. Pertanto, sono da considerarsi pure espressioni di understatement quelle che il Nostro riferisce a proposito del suo impegno di ricerca storica come passatempo e quasi ludico divagare. Occorre invece leggerlo come un’attività complementare, anzi consustanziale al suo officio sacerdotale, seppur rispettosissimo delle metodologie che connotano il lavoro dello storico. Su questo punto vale la pena di accennare ad un significativo episodio. Nel 1981 scrive per la Rivista storica di Terra di Lavoro il saggio La vita religiosa nell’università di Arienzo nel ‘500 e nella prima metà del ‘600. Attraverso un serrato ed inconfutabile apparato documentale, lo studioso sottolineava la grandezza di molti vescovi di Sant’Agata dei Goti (la Valle di Suessola, come detto, rientrava allora in tale diocesi), uno addirittura assurto al soglio di Pietro col nome di Sisto V, senza omettere però la situazione di un grave disordine morale e spirituale, nonché di crassa ignoranza in cui versava parte del clero locale. Tanto bastò ad un anonimo per inviare una missiva alla Santa Sede, in cui si accusava il Nostro di trascurare la cura delle anime per dedicarsi a scritti diffamatorii nei confronti della Chiesa.  Ovviamente, la querelle terminò in men che non si dica con una chiarificatrice risposta dell’allora vescovo di Acerra Antonio Riboldi, ma la vicenda rafforza il concetto che don Perrotta lo storico lo ha fatto e lo fa senza sconti e ammiccamenti, profondendo sempre con limpidità di coscienza il suo appassionato impegno.  

Un impegno che negli anni si è plasticamente concretizzato nella raccolta di decine di migliaia di testi, quasi tutti donati ad enti ed istituzioni. L’ultima “creatura” è la biblioteca di S. Marco Trotti, inaugurata nel 2021, con oltre seimila volumi regalati da Don Ciccio e messi a disposizione della gioventù studiosa del posto.

Sempre attivissimo, da qualche tempo sta riversando i suoi interessi su un profilo ancora tutto da scoprire, l’arienzano Nicola Valletta (1750 – 1814) e ha riunito studiosi ed accademici nella elaborazione di un volume collettaneo sul professore degli Istituti civili e di Diritto romano all’Università di Napoli di prossima pubblicazione. Un primo passo verso uno studio più articolato di una personalità versatile e poliedrica, nota ai più solo per la sua Cicalata sul fascino, volgarmente detto jettatura, sulla reale esistenza della quale il giurista di formazione illuministica per altro si trasse brillantemente d’impaccio. “Vedi che ci ha da essere; rispose uno a chi gli faceva il cristero (clistere) di notte, e dicea di non trovare il buco”.

Redazione