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MADDALONI- Allarme ambientale innescato dalle fumarole dell’ex Cava Monti. Ieri, si sono due tenuti due incontri di segno diametralmente opposto: in Regione, l’ennesimo confronto informativo; in comune, un confronto tra gli agricoltori e il commissario straordinario Benedetto Basile. Sul primo, che allunga la lista storica delle chiacchiere senza costrutto, è obbligatorio stendere un velo pietoso. Per due ordini di motivi: la situazione è seria e le chiacchiere stanno a zero. E poi, un tavolo informativo sulle decisioni già deliberate dai tavoli tecnici (comune, Regione, Arpac) è quanto di più tardivo e poco risolutivo si potesse concepire soprattutto in assenza dei principali attori: Invitalia e gli agricoltori come parte lesa. In comune invece si è andato al sodo. Gli agricoltori chiedono un congruo indennizzo per l’ordinanza di «divieto assoluto di commercializzazione e coltivazione dei prodotti agricoli, entro un raggio di 500 metri, dalla sorgenti inquinanti».  Non soldi ma provvedimenti risolutivi. Anche perché i divieti sono solo cautelativi e privi di fondament0o scientifico vincolante: i dati analitici, forniti dal Laboratorio Multisito Inquinamento atmosferico, hanno documentato una intensificazione delle esalazioni in atmosfera di vapori di idrocarburi policiclici aromatici delle fumarole dell’ex cava Monti. Ma nessuna interazione con le matrici ambientali (suolo, acqua) o comunque non è stata allegata nessuna prescrizione di divieto. Comunque, il prefetto Benedetto Basile prima ha dichiarato lo «stato di rischio per l’igiene e la salute pubblica» e poi ha avviato una «mobilitazione istituzionale urgente». Il problema è l’interazione tra le esalazioni e le potenziali inalazioni delle stesse. «Abbiamo chiesto e ottenuto –annuncia Giuseppe Ricco della Unione Italiana Coltivatori- risposte certe, entro queste settimane, sulla revoca dei divieti o sulle attività obbligatorie di spegnimento delle combustioni e soffocamento delle fumarole. Non serve vietare serve eliminare e rimuovere le sorgenti inquinanti». E’ un ultimatum. Se nulla accadrà gli agricoltori comunque organizzeranno la semina di gennaio ma chiederanno i danni per «omessa tutela della scurezza ambientale». Oltre alle audizioni, c’è molto di più

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