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A dieci anni dalla scomparsa di un grande docente del liceo classico Giordano Bruno

 “Col passare degli anni, un uomo popola l’universo di immagini di province, regni, montagne, baie, isole, pesci, stanze, arnesi, stelle, cavalli e persone. Poco prima di morire, scopre che questo paziente labirinto di linee disegna l’immagine del suo stesso viso”. Jorge Luis Borges

di Alfredo Omaggio

Il 20 maggio di dieci anni fa si concludeva l’esistenza di Giuseppe Casertano, docente di Scienze naturali al Liceo classico “Giordano Bruno” di Maddaloni. Un male inesorabile gli aveva dato appuntamento appena sùbito il conseguimento della pensione, termine che per “Pino”, l’ho sempre chiamato così, era solo un accidente burocratico, perché ogni vero studioso e ricercatore non concepisce requie, ma attende ai suoi interessi fino all’ultimo giorno, come nella splendida pagina crociana: “La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il còmpito a cui attendevamo; ma essa non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare”.  

Accettò l’oltraggio della malattia e il calvario che ne seguì con straordinaria forza d’animo e per me, che ebbi il privilegio di frequentarlo anche in quel frangente, è stato il suo ultimo insegnamento, quello cruciale. Ci eravamo conosciuti nel 1998, io “ritornavo” da docente al “Bruno”, lui era al suo ultimo approdo, alla tappa conclusiva di un intenso itinerario professionale iniziato col conseguimento della maturità classica e poi con la laurea in Scienze biologiche nell’ateneo federiciano a 24 anni, nel 1970. Immediatamente venne nominato curatore dell’Orto botanico e si dedicò alla classificazione di alghe del Golfo di Napoli. Dalla metà degli anni ‘80 fino al 1997 tenne l’insegnamento di Scienze naturali presso il Liceo scientifico “E. Fermi” di Aversa, dove strinse una fraterna amicizia col collega Nicola Graziano. Insieme decisero di creare, all’interno del liceo, un’oasi verde di macchia mediterranea ancora oggi vanto dell’istituto e della città normanna. Nello stesso periodo frequentava i monti del Matese, raccogliendo farfalle, felci e piante acquatiche. Nei pressi di Teano trovò la felce Osmunda regalis, considerata ormai estinta, segnalandone la presenza agli studiosi con pubblicazione nelle riviste specializzate. Nel 1999 iniziò la sua grande avventura paleontologica a Profeti, frazione del comune di Liberi e una proficua collaborazione col prof. Sergio Bravi. Ed infine la scoperta del giacimento di Veccia, su un colle del comune di Liberi, su segnalazione nel 2006 di un signore, che, così raccontava Pino, si divertiva da ragazzo a sferrare colpi di martello contro le rocce nei boschi del colle. L’amicizia col prof. Bravi lo portò poi a partecipare alla campagna di scavi paleontologici nel giacimento di Profeti – Liberi nel 2008.

Tutti i reperti fossili, meticolosamente fotografati e classificati con caparbietà, nonostante il male già lo avesse colpito, furono da lui donati al Museo di Paleontologia della Università “Federico II” di Napoli, che oggi li custodisce in un apposito fondo. Post mortem, con l’assenso della moglie, prof.ssa Laura Tolino, la sua raccolta di piante acquatiche venne invece ripartita tra l’Orto botanico di Napoli, e l’Istituto Agrario. Falcone” di Licola – Pozzuoli. Una altrettanto imponente raccolta di piante grasse fu collocata in un’area messa a disposizione dalla allora preside dell’ITG “Buonarroti” di Caserta, prof.ssa Antonia Di Pippo, con l’ausilio dell’agronomo prof. De Luzio, creando un giardino roccioso di notevole valore didattico.

Gli studiosi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “Federico II” di Napoli, nel maggio del 2014, vollero presentare nel “nostro” liceo, con l’assenso entusiastico dell’allora Rettore Vigliotti, il lavoro commemorativo riguardante pesci, crostacei e piante terrestri rarissimi rinvenuti nel giacimento fossilifero di Monte Fallano, tra i comuni di Castel di Sasso e Pontelatone, risalenti a circa 150 milioni di anni fa. Si trattava di un importante report allora pubblicato dalla prestigiosa rivista tedesca Neues Jahrbuch für Geologie und Paläontologie,. Lo scritto era dedicato alla sua memoria per il notevole contributo offerto al ritrovamento di alcuni generi e specie nuove di crostacei, al punto che una specie fu intitolata al suo nome, secondo una nota consuetudine vigente nella comunità scientifica.

Eppure, dietro una così frenetica e qualificata attività scientifica si celava una scaturigine insospettabile. Avendo accesso alla sua abitazione, la sorpresa più grande per me fu constatare che una buona parte della sua vasta biblioteca fosse costituita da volumi di poesia e di dischi, in cui svettava l’opera completa di Fabrizio De Andrè. Quando gli palesai il mio stupore, mi sorrise, confessandomi anni di studio approfondito di poeti e di tecniche poetiche. Tra i suoi preferiti certamente Kostantinos Kavafis. In seguito, rilessi la parabola esistenziale, la sua inesauribile curiositas per la vita e per ogni manifestazione della natura, alla luce dei versi di Itaca:

 “Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

In lui l’esprit de finesse dava linfa all’esercizio dell’esprit de géométrie che, a sua volta, alimentava la sua leggendaria onestà intellettuale, quel profondo rispetto dei fatti che con rigore, opportune et importune, costituivano la fonte non negoziabile dei suoi rapporti di docente e di uomo. Ciò innescava l’ammirazione dei colleghi e dei discenti; tutti sapevamo che diceva semplicemente la verità e non avrebbe potuto dire altro che la verità.  Scevro da ogni ansia di protagonismo, spesso sembrava rintanarsi in un guscio di rugosa ritrosia, soprattutto quando vedeva quel vero vilipeso, accomodato, svilito.  

Accanto alle stelle e ai pianeti (ricordo con emozione le osservazioni astronomiche a cui partecipai come “alunno adulto” tra tanti alunni veri nel cortile del liceo!), alle farfalle, ai molluschi, alle conchiglie, alle piante grasse ed acquatiche, aveva serbato intatto l’intento di ogni docente che sia tale, far cioè germogliare talenti, suscitare energie nei giovani. Pino Casertano ha creduto ed operato affinché la scuola potesse farli cittadini migliori di una Italia migliore. Per questa convinzione ha rinunciato ad una più che probabile brillante carriera universitaria. Gli ultimi anni, come si è detto, li ha trascorsi a leggere un libro diverso, fatto di pagine di pietra, da sfogliare con cura, perizia e fatica, per riportare alla luce tracce di vita fissate 150 milioni di anni prima, con stupore fanciullesco e con quella gioia che ti ripaga di ore di lavoro durissimo e paziente, sotto il sole cocente o la pioggia battente.

Sull’Autore di quel libro Pino sospendeva il giudizio; mi arrischio a pensare che per lui libro e autore coincidessero: come in Spinoza ed Einstein, Deus sive natura. E in questa congettura non mi sento solo.   Manuel e Lara, i suoi figli, hanno voluto che sul marmo della tomba venisse incisa una frase: “Vivete in modo innocente. Dio è qui”.  La scrisse Linneo, un uomo curioso. Come lui.

Redazione