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Il 4 Giugno 1994 ci lasciava il grande attore regista, tradito da un cuore malato. Aveva appena terminato le riprese de “Il Postino”. Nei suoi film, amore, amicizia e sentimenti, raccontati con uno sguardo unico che ancora accompagna i nostri giorni

Per una volta ci affidiamo alla retorica senza il timore di ripetere uno dei più classici luoghi comuni: l’arte di chi ci ha lasciato prematuramente non muore mai. Trent’anni fa moriva Massimo Troisi e la maggior parte di chi lo ha amato e seguito ricorda perfettamente dov’era e cosa stava facendo in quel pomeriggio del 4 Giugno 1994, quando i social e la messaggistica erano visioni futuristiche e le notizie erano affidate alle care vecchie battute d’agenzia.

Sul set de “Il Postino”

I Mondiali di calcio in terra americana, nuova frontiera del football, erano all’orizzonte. Avremmo visto l’ultimo gol di Maradona e il Codino di Baggio incantare il Mondo prima del triste epilogo nella finale con il Brasile. Da pochi mesi l’Italia si era affidata al primo Governo Berlusconi e con Forza Italia sperava nel nuovo miracolo italiano. Il Tunnel della Manica era stato appena inaugurato. Poco dopo le 16, di quel 4 Giugno, arriva il primo lancio dell’Ansa che lascia tutti senza parole: è morto Massimo Troisi, poche ore dopo l’ultimo ciak de “Il Postino“, il film capolavoro tratto dal romanzo di Antonio Skarmeta. Era andato a riposare dopo pranzo, a casa della sorella a Roma, e non si è più svegliato.

Massimo Troisi è stato il poeta dell’anima che ha parlato di sentimenti, amore e amicizia senza mai cadere nei luoghi comuni. Roberto Benigni, autore di un sonetto struggente a lui dedicato (GUARDA IL VIDEO), affermò di averlo ascoltato, per ore, parlare di Napoli senza mai una citazione su pizza e mandolino. A trent’anni esatti dalla prematura morte, si ricorre ancora alla sua arte per incartare con un sorriso, a volte malinconico, momenti e percorsi di vita contro i quali tutti noi, inevitabilmente, andiamo ad incrociare.

I suoi film, specie quelli da attore e regista, quasi come un unico filo conduttore, hanno lasciato un’eredità che si tramanda nel tempo e che speriamo possa continuare con le nuove generazioni. Con “Ricomincio da Tre“, ci ha fatto capire che, anche nei momenti difficili, non bisogna mai ripartire da zero, perchè almeno un paio di cose nella vita ci sono sicuramente riuscite. In “Scusate il Ritardo“, Troisi ha suggerito come, qualche volta, in amore può arrivare in soccorso anche una bugia

Con Giuliana De Sio sul set di “Scusate il Ritardo”

Gli esordi nella parrocchia della sua San Giorgio a Cremano, il grande successo con “La Smorfia”, prima di passare dietro la macchina da presa per dare vita a degli autentici capolavori del cinema italiano

Nel malinconico finale del film, Vincenzo chiede timidamente all’amata Anna (Giuliana De Sio) di non partire e continuare a volerlo bene. Lei esclama: “Se devo essere sincera…“, lui la interrompe immediatamente: “No! Perché? Puoi dire anche una bugia…“. Il manifesto sull’amore si completa nel 1991 con “Pensavo fosse amore invece era una calesse“, fotografia di una coppia crisi che alla fine di un lungo percorso, trascinato stancamente tra fughe e ritorni, decide di non rifugiarsi in un matrimonio che, di fatto, nessuno dei due desidera perchè in fondo “un uomo e una donna sono le persone meno adatte per sposarsi…“. La bellezza di Francesca Neri e la colonna sonora di Pino Daniele (con la celebre “Quando“, scritta proprio per il film), fanno da splendida cornice (GUARDA IL VIDEO)

Nel mezzo, il viaggio nel tempo con Roberto Benigni in “Non ci resta che piangere“, a suggellare un’amicizia fortissima e radicata e la poetica collaborazione di tre film con la regia di Ettore Scola, in due dei quali, “Che ora è” e “Splendor“, nasce la bella collaborazione con Marcello Mastroianni che vale ad entrambi la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venenzia. A trent’anni dalla sua scomparsa vince ancora premi come accaduto di recente con il David di Donatello consegnato a Mario Martone per il documentario “Laggiù qualcuno mi ama“, che il regista napoletano ha dedicato a Troisi.

Con Francesca Neri in “Pensavo fosse amore invece era un calesse”

Gli esordi nella parrocchia di San Giorgio a Cremano per vincere la timidezza. Il cabaret lo ha fatto conoscere a quell’Italia che rimaneva incollata alla TV, estasiata da tre ragazzi napoletani (Enzo De Caro e Lello Arena), che portavano una ventata di freschezza nel linguaggio e nello stile. Con “La Smorfia” ha inventato una sorta di comicità mai aggressiva. Il cinema, invece, gli ha permesso di esplorare altri mondi di cui sentiva necessità di narrazione.

Con il grande schermo fu rivoluzione autentica, la nascita di una nuova epoca e di nuovi sguardi su una società che abbracciava gli anni Ottanta. Una generazione d’oro per il botteghino, formata da Carlo Verdone, Francesco Nuti e lo stesso Benigni, i quali scrivevano, interpretavano e dirigevano i propri film. Il cinema di casa nostra, di fatto, tagliava i ponti con il passato. I produttori gli chiedevano di “italianizzare” il copione, lui non faceva mai un passo indietro. “Se vogliono il film si fa così, altrimenti non fa niente, non sta scritto da nessuna parte…”. Rispose per le rime, ancora debuttante, a Fulvio Lucisano, produttore top player, che storse il naso alla prima lettura di “Ricomincio da Tre”. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Con Ettore Scola e Marcello Mastroianni sul set di “Che ora è”

Massimo Troisi non ha eredi e mai li avrà. Ci manca tantissimo perchè avremmo voluto ammirarlo ed ascoltarlo nella personale fotografia all’attuale società e sui rapporti tra le persone sempre meno umani e sempre più virtuali. Ci mancano le sue interviste memorabili con Gianni Minà (GUARDA IL VIDEO), ci manca il suo non detto, il suono della sua voce e quel suo sguardo sui sentimenti che, trent’anni dopo, continuiamo a tenere stretto nelle nostre tasche, tirandolo fuori ogni volta che ne abbiamo bisogno.

Vincenzo Lombardi