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Abbiamo aspettato quasi una settimana. Lo abbiamo fatto per rispettare un lutto. Il cavaliere Michele Tagliafierro non merita un necrologio. Ma un ricordo. Quello che spetta e compete ad un vero uomo. «Vi sono militari che gli alamari e la divisa l’hanno cucita sulla pelle». Questa frase, pronunciata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (appena nominato prefetto di Palermo e quindi in abiti civili) ben si confà al maresciallo della Guardia di Finanza Michele Tagliafierro. Andato in pensione con il titolo di cavaliere, membro dell’Ordine sovrano dei Cavalieri di Malta, titoli conquistati tutti sul campo e per merito, anche lui non ha mai dismesso la divisa da finanziere. E mai ha smesso di comportarsi da operatore di legalità: lavoro che ha svolto in mezzo mondo, negli avamposti di frontiera e nell’amatissimo Molise. Uomo della Tributaria ma anche uomo tra gli uomini. Amava dire e ripetere: «C’è chi si sente finanziere solo in servizio. Io mi sento finanziare in servizio permanente effettivo nella vita». E lo ha dimostrato con i fatti. Per questo, non vogliamo indugiare nella melensa retorica post mortem. «Dalle vostre opere che vi riconosceranno miei discepoli» così il Signore indica la via per discernere la coerenza tra la fede proclamata e quella praticata. Michele Tagliafierro è stato un coerente. Tanto coerente che ha voluto che a Maddaloni risorgesse la sezione dei finanzieri, là dove nacque la prima all’inizio secolo.  Con altrettanta caparbietà, ha voluto ricostruire la storia dei maddalonesi in divisa grigio-verde, da quelli illustri ai semplici finanziarie. Poi ha voluto documentare il rapporto antico e viscerale tra la città e la scuola allievi che è stata ospitata fino all’inizio secolo nella ex caserma Bivio di piazza Matteotti (oggi sede della Fondazione Villaggio dei Ragazzi). Il suo sogno è stato rispolverare la storia della nascita, proprio a Maddaloni, della banda regia della Guardia di Finanza. E per questo, ha voluto da sognatore e visionario, ripristinare l’antica stele (posta davanti alla chiesa dell’Annunziata) dove le domeniche di inizio novecento le bande si esibivano. Già la stele. Quella stele che una sciagurata ristrutturazione di piazza Umberto I ha rimosso. E’ la storia di un maddalonese che ha girato il mondo e che credeva nella valorizzazione della sua terra. E per questo, la sua storia è una parabola significativa di cosa vuol dire amare la legalità alle nostre latitudini. Lui si è scontrato con la burocrazia ottusa dello sgangherato comune di Maddaloni. La stele sarebbe addirittura andata dispersa. La storia e la memoria del territorio bistrattate e disprezzate oltre ogni misura. Ma lui non si è perso d’animo. Da militare vero sapeva che avrebbe dovuto pagare di persona. Infatti, ci ha messo la faccia, i soldi personali (vera rarità in un territorio funestato da disseti finanziari multipli, pubblici e privati, spreco di danaro pubblico e fuga dai tributi comunali), il suo tempo e la sua onorabilità. Alla fine, ha ricostruito, sempre a sue spese, la stele storica di Maddaloni. Osteggiato, forse deriso, certamente guardato con sufficienza, ha continuato a scontrarsi con un ente locale che incarna tutti i mali che tormentano il territorio: l’indifferenza, il pressapochismo, la spocchia. Nonostante gli acciacchi si è battuto affinchè la stele potesse essere illuminata. Tornare ad essere parte della pubblica illuminazione. Ovviamente, permesso negato. L’episodio non esaurisce l’impegno e la coerenza di una vita. Michele Tagliaferro, finanziere vero, ci ha insegnato che si può immaginare un territorio diverso: più dignitoso; più rispettoso della propria storia; più libero. Ci ha insegnato che la testimonianza e la libertà si pagano di persona. Ci ha dimostrato che è meglio vivere e combattere  in piedi correndo anche con il rischio della sconfitta, che vivere in ginocchio. Ci ha insegnato che nonostante tutto si può cambiare per provare di diventare uomini liberi. Grazie maresciallo.
bocchetti