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Agosto è torrido. Ma a settembre farà molto caldo. Soprattutto in casa Pd: nel partito, prima commissariato e poi pure sub commissariato  da tempo immemore, c’è una richiesta che provoca un brivido freddo. E’ l’effetto prodotto dall’invocazione: «Si celebri il congresso cittadino». La cosa più indigesta e più evitata in quel partito senza sede dove la logica del «vassallaggio politico» è considerata più comoda di quella della militanza (magari d’opposizione) o delle conta interna. E’ più facile essere referente territoriale dell’onorevole di turno che fronteggiare politicamente gli avversari. Meglio una comoda vita da caporale che vivere in trincea da capitano. Fino ad oggi, è stata accuratamente evitata qualsivoglia analisi politica sul quello che è successo prima, durante e dopo le Primarie. Lo stesso è accaduto per come è stata condotta la campagna elettorale; su come non è stata vinta in maniera definitiva la battaglia del primo turno e persa maldestramente e forse volontariamente il ballottaggio. Tranne qualche sparuta sortita non si registrano analisi del partito in quanto tale. E come appena un troncone della «Mozione Orlando» provinciale ha cominciato ad produrre qualche riflessione si è scatenato l’inferno. Su questi temi, presumiamo che dovrà cimentarsi il congresso cittadino. Quello che nel Pd non diranno e non analizzano è che si tratta di un partito che da quasi dieci anni perde tutte le competizioni elettorali locali. Dopo la vittoria alle comunali del 2006 (ancora sotto l’egida e la leadership assoluta di Franco Lombardi), ci sono state solo sconfitte. Senza leader riconosciuti il partito è solo un comitato elettorale. Infatti, ha perso in malo modo contro il centrodestra di Antonio Cerreto (zeppo di ex Ds convertiti) restando comunque partito di maggioranza relativa. E’ stato sonoramente bocciato nel 2013 ritagliandosi poi una posizione di appoggio esterno o desistenza mascherata con Rosa De Lucia. Addirittura votandone pure le linee programmatiche.  Insomma, perdendo hanno preferito  indossare i panni buffi dei non vincenti che danno una mano al più forte. Una stagione politica, cominciata male e finita malissimo, che non è stata analizzata o superata ma solo rimossa. E infine, all’interno di una coalizione con 10 liste, il Pd (partito guida e di maggioranza relativa) è riuscito solo a pareggiare. E poiché in politica il pareggio non esiste, è riuscito a perdere un’occasione d’oro. Qual è il filo rosso che unisce questi dieci anni? L’assoluta mancanza di leadership politica. Mancanza che si è palesata nell’incapacità di imporre un candidato a sindaco indiscusso e indiscutibile. Se  il leader non c’è e il partito pure, potranno i comitati elettorali gestire o articolare strategie politiche? Assolutamente no. Da qui lo strano caso di un partito che raccoglie consensi ma che colleziona sconfitte. E certi appelli-richieste per andare al congresso, dopo che non si è voluto celebrarlo, sembrano segnali in codice per la resa dei conti finale.

bocchetti