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MADDALONI- Zero chiacchiere e molte carte bollate. Nell’attesa che la Procura della Repubblica, l’Ufficio tecnico e la Soprintendenza sciolgano le riserve e rendano note le decisioni (dopo il sopralluogo nel’area fortificata dello scorso luglio) a tenere banco sono le decisioni e gli atti della Corte di Appello di Napoli. Il prossimo ottobre ci sarà l’ennesima udienza che farà scivolare in avanti tutte le decisioni sulla richiesta di abbattimento dell’acquedotto in quota abusivo, costruito nella cinta muraria del castello, e quella del censimento dei danni. Molto probabilmente, grazie ad una richiesta di proroga per una verifica tecnica supplementare sulle perizie, il contenzioso infinito, che dura dal 1926, non si chiuderà prima del 2022. Calendario alla mano si allungano gli anni di attesa della sentenza, molo attesa, che dovrà monetizzare i danneggiamenti (all’ambiente, alle piante secolari e alla cinta muraria)  derivati dall’occupazione, senza titolo, di 25 mila metri quadrati di area collinare protetta con costruzione di vasche in cemento e di un sistema di tubi a caduta. Bisognerà aspettare ancora per vedere chi vince il braccio di ferro tra comune e l’avvocato Pasquale D’Alessio. Attualmente, sulla scorta della sentenza di primo grado, il comune abusivo paga un canone locazione di poco più di 500 euro al mese. Innanzi alla Corte di Appello pende una richiesta di adeguamento fino ad un massimo di 70 mila euro all’anno. L’avvocato Pasquale D’Alessio (proprietario della Torre Artus) ha chiesto pure il riconoscimento degli arretrati per quasi un secolo che ammontano ad oltre quattro  milioni di euro, secondo le attese della proprietà. Valutazioni e scenario contabile sempre smentito e ridimensionato dal Comune.

L’acquedotto comunale interno alla cinta muraria
Redazione