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L’ennesimo infortunio di un operaio solleva il velo che ricopre un mondo in cui i lavoratori sono ricattabili e sfruttati oltre l’orario di lavoro, le aziende sono impiegate con dubbi sulle gare d’appalto e la paura di perdere il posto spinge a chiudere occhi e bocca

Un altro incidente sul lavoro, l’ennesimo nel settore dell’edilizia. E l’ennesimo nel cantiere in cui si lavora alla realizzazione dell’alta velocità/alta capacità della linea Napoli-Bari, tratto Cancello-Frasso Telesino. Questa volta l’episodio si è verificato venerdì scorso nel cantiere di via Pioppolungo a Maddaloni. Un operaio, trasfertista pugliese, è finito in terapia intensiva dopo aver riportato la frattura del bacino, di alcune costole e un’emorragia interna. Sale dunque il bilancio di coloro che si infortunano sul posto di lavoro o, peggio, rischiano di aumentare il numero di “morti bianche” che, in Italia, risultano già essere 677 al 31 luglio dell’anno in corso (fonte INAIL). Non è retorica spicciola se si sostiene che è impensabile rischiare di non tornare a casa per il semplice fatto di guadagnarsi da vivere.

Ciò che ha destato un minimo di sospetto è stata l’omertà che aleggia sulle dinamiche dell’incidente: come spesso accade nessuno ha visto niente, nessuno sa niente

Chissà se sulla reticenza a proferir parola c’entrano le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori. Il 60% degli operai impiegati nel tratto Cancello-Frasso Telesino è assunto con contratti a tempo determinato di 1,2, o massimo 3 mesi. E per evitare che non vengano rinnovati, si richiede la massima disponibilità, soprattutto oraria. L’operario infortunatosi, aveva svolto al giovedì già 40 ore di lavoro, 10 al giorno. Altri colleghi invece, impiegati nella galleria di linea Monte Aglio, lavorano anche 12 ore al giorno per 7 giorni, senza riposo. Contratti che comprendono un minimo di 200 ore mensili ed un massimo imprecisato di ore.

È quasi un riflesso incondizionato supporre il perché del silenzio: il semplice parlare rischia di compromettere il rinnovo dei contratti e di conseguenza il posto di lavoro. Contratti che il più delle volte sono poco affini al settore edilizio: a ore, part-time o di somministrazione. Non mancano inoltre i cosiddetti “cottimisti“, tipico costume del territorio: ovvero operai inquadrati che non appartengono alle imprese. Imprese che finiscono con l’essere delle giungle dal momento che alcune sono impiegate senza gare d’appalto, ma a chiamata o ad affidamento diretto.

Come diventa possibile che piccole imprese vengano coinvolte in questo modo in opere pubbliche da miliardi di euro? Stando a quanto riporta infatti il sito di Ferrovie dello Stato, “il costo complessivo stimato dell’intera opera, che rappresenta una grande opportunità di rilancio per il Sud, è di circa 6,2 miliardi di euro“. In attesa di ascoltare i sindacati di categoria, risulta difficile pensare che in opere del genere possano registrarsi incidenti in un contesto lavorativo in cui la sicurezza dovrebbe rappresentare la priorità principale. Il timore è che per certi tipi di aziende, il perseguimento del “Dio profitto” mette in secondo piano il sostenimento dei costi relativi alla sicurezza. Il Ponte Morandi docet.

Luigi Ottobre