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MADDALONI- Vittoria su tutta la linea dei sindacati confederali. All’Interporto arriverà la cassa integrazione guadagni trimestrale, come avevano anticipato e auspicato la Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil. Magra figura per gli agitatori di popolo senza conoscenza alcuna di questioni sindacali e imprenditoriali. I licenziamenti all’Interporto Sud Europa non possono essere né ratificati e né sussistono «le condizioni produttive e per provvedimenti di licenziamenti collettivi e di esubero degli edili impegnati nelle opere di completamento». Insomma, per licenziare e mandare a casa le maestranze in esubero sia la Sogesa, che ha chiesto licenziamenti collettivi, che Intercos, avrebbero dovuto rinunciare ai contatti pluriennali di cui sono titolari. Un suicidio imprenditoriale non praticabile. Esiste invece un problema molto più serio. Che poi, a ben vedere è sempre lo stesso da 20 anni: l’Interporto e i suoi azionisti non possono o forse non vogliono investire nella continuità occupazionale. Permane quello che il buon vecchio Antonio Bassolino, nelle vesti di governatore, aveva denunciato: “Una gestione immobiliare”. Tradotto: se arriva l’acquirente di turno del capannone di turno, si fanno i lavori. Altrimenti è crisi, cassa integrazione e altro ancora. La solita canzone da 20 anni.Nella fattispecie poi non ci sono commesse alternative. E poiché il principale committente (una mutazionale francese è in attesa di autorizzazioni regionali di natura commerciale) i lavori di completamento dei capannoni sono stati rallentati. La cassa integrazione c’è tutta ed è giustificata. Ma all’Interporto, volando dello sviluppo casertano (secondo una certa vulgata di una certa sinistra sinistrata senza memoria e senza contegno), c’è sempre la stessa canzone stonata come quella gracchiante che si ascoltavano dai dischi di vinile di qualche anno fa.

bocchetti