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Continua il viaggio di Giornale News nel mondo pizza. E’ la volta della pizza contemporanea e di Vincenzo Abbate.

di Pierluigi Renga

Maestro pizzaiolo di formazione classica, Vincenzo Abbate è tra i principali promotori e fautore della pizza contemporanea.

Maestro, ci racconti un po’ della tua storia? Come nasce questa sua passione per la pizza? Come è diventata poi un lavoro? 

La passione per la pizza parte da mio nonno, da lui a mio padre, fino ad arrivare a me. Ricordo molto bene quando rientrava a casa e portava con sé quel profumo di pizza,  soprattutto quando correvo ad abbracciarlo. E la stessa cosa è avvenuta con mio padre. 

Da questi momenti, ripetuti nel tempo, è nata la passione per la pizza. Deve sapere che io vengo dalla vecchia scuola di pizza, non dalla nuova generazione. Sicuramente, il mio nuovo concetto di pizza mi rende diverso rispetto a mio nonno e a mio padre.

Oggi la mia contemporanea potrebbe, a primo sguardo, sembrare a tante altre, ma non è così, perché è molto più esplosiva. Io lavoro con dei fermenti a lungo termine, dalle 24 alle 72 ore di fermenti, non ore in chiusura finale dell’impasto.

Questo garantisce un prodotto esplosivo, con una scioglievolezza maggiore e quel pizzico di “crunch” (croccante) che oggi, secondo me, nella pizza in generale fa la differenza.

Ha detto che appunto viene dalla vecchia scuola, quindi significa la sua formazione è di natura classica?

Esatto. Ad oggi credo di poter dire di conoscere il mio lavoro, dato che lo faccio praticamente da quando avevo dieci anni e adesso ne ho quaranta (sorride ndr). È il mondo pizza che è cambiato, si è evoluto, ma alla fine io sono sempre la stessa persona: ho solo aperto la mente a nuovi gli orizzonti.

I Pizzaioli di una volta, come mio nonno, mio padre, erano tarati; per loro la pizza era quella statica: ricetta acqua, sale, lievito (più o meno a seconda delle temperature) e cosa fondamentale si lavorava con il cosiddetto punto di pasta: il pizzaiolo toccava la pasta a mano, e in base a ciò che sentiva tra le mani, capiva se l’impasto era pronto o meno.

Oggi, una cosa del genere non è più possibile. La pizza è studio, è conoscenza delle farine, dei  processi che avvengono all’interno dell’impasto.

Altra differenza rispetto al passato è sicuramente l’idratazione degli impasti,si arrivava al massimo al 55%, proprio perché si basava sul tatto; l’impasto non doveva risultare molle. Oggi, invece, si arriva tranquillamente anche all’80% di idratazione.

Quindi il passaggio della formazione classica a quella contemporanea parte proprio dallo studio dei processi?Perchè piace tanto questo “crunch”al cornicione, ma scioglievole al centro?

Una spinta forte in questa direzione è stata data sicuramente dalla pandemia. Oggi il cliente che viene in pizzeria, è esigente e ne capisce di pizza. Mi capita spesso che mi chiedono il tipo di farina che utilizzo oppure la tipologia di impasto.

Questa nuova consapevolezza del cliente ha non solo alzato il livello relativo alla qualità del prodotto ma, inevitabilmente, anche il livello di noi pizzaioli.

Oggi il cliente è lui stesso è un “pizzaiolo” casalingo. Probabilmente, ne saprà anche di più di un professionista e sa perché? Ha il tempo di studiare, noi pizzaioli no purtroppo (sorride).

Il web, i clienti, e tanti suoi colleghi l’hanno identificata come uno dei principali fautori della pizza contemporanea, questa pizza esplosiva. Ma cosa rappresenta per lei questa pizza esplosiva? 

Io non ho inventato la pizza contemporanea. Ho solo creato un prodotto figlio delle mie esperienze, dandone un’identità chiara e precisa, facilmente riconducibile a me.

Anche sui social si vedono spesso foto di pizze che hanno caratteristiche riconducibili al mio prodotto ma sono state elaborate da altri. Nella maggior parte dei casi sono realizzate da persone che hanno frequentato i miei corsi e di questo ne sono estremamente felice.

Da diversi anni ormai condivido i miei risultati in giro per il mondo. La pizza contemporanea è un prodotto figlio di studio e di conoscenza dei processi; di tanti sacrifici fatti in favore dell’equilibrio degli elementi che la caratterizzano.

Oggi la pizza contemporanea viene spesso associata al cornicione alto; niente di più sbagliato. La pizza contemporanea non è tale solo se realizzata con la tecnica dei prefermenti. Posso tranquillamente fare un diretto (si riferisce alla tecnica dell’impasto, ndr) e chiamarlo contemporaneo, perché è il processo di elaborazione che è cambiato rispetto al passato.

Quasi trent’anni di esperienza che culmina con l’apertura di un nuovo locale.

Chi mi conosce sa bene i sacrifici che ho fatto e quanto volte mi hanno chiuso la porta in faccia. Nonostante tutto, sapevo di dover studiare ed evolvere il concetto di pizza dal classico al moderno. Questa mia caparbietà ma ha condotto ad aprire, dopo trent’anni la mia prima pizzeria.

Pizzaiolo, innovatore della professione, formatore dei futuri professionisti. Cosa direbbe ad un giovane, deciso a diventare pizzaiolo? 

Di partire dalle retrovie. Oggi, tutti quanti si focalizzano sull’impasto. Bisogna imparare bene tutte le fasi; imparare a conoscere le materie prime e come utilizzarle al meglio.

Bisogna imparare bene, ad esempio, a tagliare la mozzarella, ad osservare l’andamento del forno. È fondamentale, quindi, capire tutti i processi che si svolgono all’interno di una pizzeria. Con umiltà e passione per questo lavoro, senza avere paura di osare, di sperimentare. 

Le faccio un esempio importante che ha inciso sul mio metodo di impasto. Le prime tecniche di chiusura dell’impasto con il metodo biga erano basate su l’ultimazione del processo dopo 16 ore, se si trattava del servizio a pranzo; dopo 16 ore se si trattava del servizio serale. Ciò determinava spesso una quantità importante di impasto non cucinato e di conseguenza gli scarti erano davvero tanti.

Oggi con i miei fermenti, ho rivoluzionato un po’ la pizza contemporanea. Infatti, io la chiamo la nuova contemporanea, proprio perché ne ho prolungato la durata: non più a 16 ore e chiusura, bensì dalle 24 alle 72 ore per garantirne una maggiore resa. 

Questa tecnica ha ridotto considerevolmente gli sprechi e abbattuto i costi. Quindi i giovani devono studiare: la conoscenza fa la differenza.

Se dovesse ordinarne una, quale pizza sceglierebbe? 

Può sembrarle strano, nonostante sia un rivoluzionario contemporaneo, la mia preferita resta sempre la margherita. 

Alcune domande finale che incuriosiscono un po’ tutti: il lievito fa male? Sale sì? Digeribilità? Ma qual è l’opinione di Vincenzo Abbate? 

Il lievito a 60 gradi muore, quindi non fa assolutamente male e il sale dipende dagli impasti, io ad esempio posso metterlo in qualsiasi fase del processo di impastamento. Negli altri impasti può cambiare un pochino la maglia glutinica potrebbe diventare un po’più rigida, ma dipende solo dalla singola formazione professionale e dalla tipologia di impasto.

Non dimentichiamo che prima, quando si impastava a mano, gli ingredienti venivano inseriti tutti insieme.

Il Maestro Vincenzo Abbate, molto vicino alla comunità dei pizzaioli amatoriali sarà giudice della prima edizione del nuovo contest online promosso dall’Associazione Nazionale Pizza Lovers Aps. I vincitori delle varie fasi del contest riceveranno tanti premi concessi dagli sponsor dell’Associazione.

Redazione On Line