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Un coro assordante, indimenticabile, quel “Ni-no! Ni-No! urlato a squarciagola dal pubblico del Palazzo dello Sport di Roma. Nino Benvenuti aveva conquistato la medaglia d’oro nel pugilato, coronando quel sogno che fin da bambino lo aveva accompagnato nella sua carriera sportiva, iniziata in una cantina ricavata nella sua casa di Isola d’Istria, dove tirava pugni ad un sacco di iuta riempito di granturco.

 

Una serata straordinaria per la boxe italiana, quel 5 settembre del 1960, che iniziò con la delusione per la sconfitta di Primo Zamparini nella finale dei pesi gallo, ma che poi proseguì in maniera esaltante con i successi di Francesco Musso nei piuma e di Nino, all’anagrafe Giovanni Benvenuti, nei welter. Il pugile istriano iniziò la sua avventura all’Accademia pugilistica triestina, sobbarcandosi sessanta chilometri al giorno di bicicletta per potersi allenare. Nel 1955 approdò alla Nazionale dilettanti, dopo aver vinto, l’anno prima, il titolo italiano novizi.

 

Il 1956, però, fu un annus horribilis: nel corso di una tournée con la Nazionale perse la sua imbattibilità in un match contestatissimo in Turchia ed inoltre, non venne convocato per i Giochi di Melbourne del 1956, dove sarebbe dovuto andare come peso superwelter, ma gli fu preferito Franco Scisciani, che perse nei quarti di finale. Il suo maestro, Steve Klaus – un americano di Pittsburgh, nato da genitori ungheresi, vero e proprio totem della boxe, ancor oggi punto di riferimento per molti tecnici – motivò la scelta dicendogli: “Un giorno mi ringrazierai”.

 

Fu un colpo durissimo, ma non quanto la scomparsa improvvisa, a soli quarantasei anni, dell’adorata madre Dora, che lo segnò profondamente. Per sentirla ancor più vicina, decise di portare la sua fede nuziale tra i lacci della scarpa durante i combattimenti. L’unica soddisfazione di quell’anno nerissimo fu il suo primo titolo tricolore nei welter a Parma.

 

Nel 1957 passò nella categoria superwelter (al limite dei 71 kg.), dove vinse il titolo italiano a Bologna e quello europeo a Praga, riconfermandosi poi campione continentale due anni dopo a Lucerna. Tra il 1958 e il 1960 fece incetta di titoli tricolore.I Giochi della XVII Olimpiade di Roma, però, rappresentavano il suo grande obiettivo. Il Commissario Tecnico, Natale Rea – come per Francesco Musso – gli consigliò di scendere di categoria e di ritornare a combattere nei pesi welter, per evitare, tra l’altro, di incontrare lo statunitense Wilbert James McClure, soprannominato “la zanzara di Toledo”, che nel 1959 si era aggiudicato i Giochi Panamericani di Chicago e che guarda caso, proprio a Roma, conquistò poi l’oro nei superwelter.

 

Il 3 marzo del 1960, entrò alla Scuola Centrali Antincendio delle Capannelle di Roma, (prestando servizio militare come ausiliario dei Vigili del Fuoco), dove trascorse quattro mesi e solo grazie ad una licenza speciale poté partecipare ai Giochi. Lavorò duro, perdendo quattro chili in pochi mesi, per rientrare nei sessantasette previsti dalla categoria welter. Era pronto e la sua sfida poteva iniziare.

 

Trentatré i pugili in gara, che dopo il preliminare tra lo svizzero Max Meier e l’uruguaiano Roberto Martinez, si affrontarono nei sedicesimi di finale.Benvenuti era tra i favoriti per le medaglie, ma la pressione era tanta, per cui cercò di non farsi travolgere dalle emozioni. Il 27 agosto fece il suo esordio con il francese Jean Josselin, controllando nelle prime due riprese e pur patendo qualcosa nella terza, chiuse con un secco 5-0. Nel primo turno destò molta impressione il tunisino Omrane Sadok (nella stessa parte di tabellone dell’azzurro), che sconfisse per k.o. tecnico lo jugoslavo Tomislav Kelava.

 

Quattro giorni dopo, negli ottavi di finale, in un palazzetto stracolmo – che vide la presenza nel parterre di Maria Gabriella di Savoia, figlia dell’ultimo Re d’Italia – affrontò il sudcoreano Ki-Soo Kim, che mandò al tappetto con un gancio destro nella terza ripresa. Verdetto inequivocabile: 5-0. Il 2 settembre, nei quarti di finale, fu la volta del bulgaro Shishman Mitsev, che aveva eliminato a sorpresa (3-2) Sadok. Benevenuti vinse per 5-0, dopo aver costretto l’avversario al tappeto.

 

Il giorno successivo, quindi, affrontò in semifinale il britannico James Lloyd, un veloce ambidestro. Il pugile di Liverppol partì all’attacco, ma l’azzurro cercò di tenerlo sotto controllo, contrattaccando a due mani. Si accorse, però, che ogni tanto l’avversario lasciava scoperta la fronte e proprio lì colpì con un gancio sinistro, che tuttavia non lo scalfì, anzi, Lloyd non mollò, ma la precisione dei colpi di Benvenuti fu poi premiata dai giudici, che con verdetto unanime, decretarono l’ennesimo 5-0.

 

Tre riprese, quindi, separavano Benvenuti dall’oro. In finale lo sfidante era il russo Jurij Radonjak e per l’azzurro la vigilia fu ricca di tensione, con la pressione che diventò la vera avversaria del 22enne di Isola d’Istria. L’incontro fu equilibrato, ma a metà della seconda l’azzurro mise a segno un gancio sinistro che mandò al tappeto il 25enne moscovita, che venne contato, ma ebbe la forza di rialzarsi, mentre, al grido “Ni-no! Ni-No!”, il pubblico lo accompagnò verso quel trionfo tanto sognato e che la giuria trasformò in realtà con il punteggio di 4-1.

 

Non solo campione olimpico, Benvenuti si aggiudicò anche la Coppa Val Barker – destinata al miglior pugile dell’Olimpiade – precedendo un 18enne del Kentucky, tale Cassius Clay, che si era imposto nei medio massimi. Sul podio, mentre accarezzava la medaglia, che nella custodia conteneva una dedica firmata da Jesse Owens, mandò un bacio al cielo in onore di mamma Dora, senza perdere di vista il parterre dove incrociò lo sguardo di papà Fernando. Un’emozione unica, che scrisse la storia dello sport italiano.

 

Fonte: Ufficio Stampa Coni

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